Quelli che tifano Trump
Dopo il “supertuesday” è arrivata la conferma: la sfida per la Casa Bianca del prossimo novembre sarà tra Biden e Trump
Quelli che tifano Trump
Dopo il “supertuesday” è arrivata la conferma: la sfida per la Casa Bianca del prossimo novembre sarà tra Biden e Trump
Quelli che tifano Trump
Dopo il “supertuesday” è arrivata la conferma: la sfida per la Casa Bianca del prossimo novembre sarà tra Biden e Trump
Dopo il “supertuesday” è arrivata la conferma: la sfida per la Casa Bianca del prossimo novembre sarà tra Biden e Trump
Lo sapevamo già, ma dopo il “supertuesday” la sfida per la Casa Bianca del prossimo novembre – manca solo l’ufficialità della convention repubblicana – sarà fra Joe Biden e Donald Trump. Tutto tranne che una notizia, ma la marcia trionfale dell’ex Presidente nelle primarie non può essere archiviata come semplicemente scontata.
Non abbiamo mai lesinato critiche nei confronti di The Donald, durante i suoi quattro anni al potere, culminati nella giornata più buia dell’intera storia repubblicana statunitense con l’assalto a Capitol Hill di cui la responsabilità politica dello stesso è indiscutibile. Non lo abbiamo mancato di fare in tante altre occasioni successive, a ogni bordata populista, grossolana, improntata a un malcelato disprezzo per tutto ciò che è al di là della sua tribù.
Perché Donald Trump è un capo tribù, non è un leader politico. Dietro di lui non c’è un partito, di cui si serve come un taxi per dirla alla Enrico Mattei.
C’è un vastissimo grumo che negli Stati Uniti è sempre esistito, ma tenuto in sordina dalla responsabilità dei due principali partiti. Donald Trump ha dato briglia sciolta al complottismo elevato a sistema, al disprezzo di qualsiasi regola, al fastidio – eufemismo – per qualsiasi equilibrio fra i poteri.
Non cambieremo certo idea adesso. Non faremo finta di non vedere le mancanze, le sottovalutazioni, le colpe e le debolezze del campo democratico, che in quattro anni non è riuscito a studiare una strategia che non fosse l’affidarsi all’usato sicuro di un uomo di indiscutibile capacità come Joe Baden, ma minato dall’età, dalla stanchezza di un compito devastante e dai naturalissimi acciacchi della sua stagione.
Leggiamo i più che probabili commenti a queste righe, cerchiamo di capire chi esulta per Trump, chi sta con Trump, chi non vede l’ora del ritorno di Trump anche se ci ha appena detto che non vede l’ora di lasciarci da soli a sbrigarcela con i vari Putin di questo meraviglioso pianeta.
Perché tifano per lui?
Donald Trump per costoro significa ribellione all’ordine costituito, alle regole, al fastidio di doverle seguire e fare politica, cioè cercare un compromesso. Trump significa libertà da quello che con stupefacente impegno e costanza – dobbiamo riconoscerlo – continua a essere descritto come il “giogo europeo“, “l’Europa matrigna”. Beninteso, detto mentre si contano i soldi che arrivano da Bruxelles e ci si lamenta se non li mandano in tempo perché noi non abbiamo rispettato gli impegni presi…
Sono quelli che si fanno, come lui, la foto abbracciando i neri e dicendo: “Ho tanti amici neri, non sono razzista “. Sono quelli del “mainstream” e dei “poteri forti”, del “ce l’hanno tutti con me” e aspettano che lo Stato gli dia soldi e pappa pronta. Sono quelli che lodano il “grande imprenditore“ Trump, sorvolando agilmente su diversi disastri, ma guai a parlar loro di merito, fatica e gavetta.
Ti credo che The Donald ha tanti tifosi in Italia.
di Fulvio Giuliani
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