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Ucraina, la resistenza comincia da casa

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In Ucraina contro i russi non c’è odio, quanto piuttosto un certo disprezzo

Ucraina, la resistenza comincia da casa

In Ucraina contro i russi non c’è odio, quanto piuttosto un certo disprezzo

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Ucraina, la resistenza comincia da casa

In Ucraina contro i russi non c’è odio, quanto piuttosto un certo disprezzo

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Kyiv – Girare per le strade della capitale ucraina non è molto diverso dal visitare una qualunque altra città dell’Europa orientale. Solo a uno sguardo più attento, tra un macchinone tedesco e una vecchia Lada “Zhiguli” sovietica, tra un edificio signorile ottocentesco in mattoni e una Krushevka degli anni Sessanta in pannelli prefabbricati, spuntano segnali di una guerra in corso. Qua e là, al livello del suolo, le finestre sono ostruite da pesanti sacchi di sabbia. «Sono scuole» ci dicono i locali. «I bambini vanno protetti». Già, i bambini. Perché alla maggioranza degli adulti, dopo tre anni, dei bombardamenti russi non interessa più nulla. Se di notte suona l’allarme, raccontano, si girano dall’altra parte e continuano a dormire. Confidano nella difesa aerea. La loro preoccupazione è un’altra: vincere. Ma per farlo servono le armi. Che costano.

«Un drone cinese costa fino a 8mila dollari, noi ne modifichiamo mille al mese». Il tecnico della Serhiy Prytula Charity Foundation squadra i molti piccoli quadricotteri che affollano il suo tavolo. Lavora per la più grande Ong ucraina dedita alla raccolta fondi per l’assistenza al Paese aggredito. Fondata nel 2020 dal noto conduttore e giornalista Serhiy Prytula per assistere bambini orfani, dal 2022 si è riconvertita in un mega aggregatore di decine di raccolte fondi. Comprano droni commerciali, li convertono per l’uso militare e li spediscono ai reparti al fronte. E lo stesso fanno con ottiche per le armi, elmetti, giubbotti anti proiettile, veicoli leggeri e molto altro. Ma operano anche a favore dei civili, con programmi di assistenza medica nelle aree del fronte, con la costruzione di abitazioni d’emergenza per la popolazione sfollata e di rifugi per le scuole. «Una fondazione del popolo» come dicono loro: il 70% dei fondi li raccolgono da privati cittadini, soprattutto ucraini. All’interno, persone comuni. Ragazze e ragazzi di ogni età ed estrazione sociale, uniti dalla voglia di fare qualcosa per il loro Paese. «Non sappiamo più cosa aspettarci, siamo al limite del burnout – confessano due giovani – ma a differenza di molte persone abbiamo il cuore più leggero, perché sappiamo di fare qualcosa per la nostra gente».

Contro i russi non c’è odio, quanto piuttosto un certo disprezzo. In un angolo sono ammassati oggetti di guerra. Frammenti di aerei e droni, lanciamissili usati, elmetti, documenti personali, medaglie. Tutto russo. Sono i trofei di guerra che i soldati mandano alla fondazione per ringraziarla dell’aiuto fornito. Qui sono esposti con orgoglio, ci invitano a toccarli, a leggere le parole su taccuini e diari. Ma poi, con un sorriso sardonico, specificano: «Dopo lavatevi bene le mani: la roba russa è più sporca di quello che sembra».

Poco lontano dalla loro sede, un palazzotto signorile con un grande scalone dal soffitto vetrato, c’è la sezione distaccata “Combat Medic”. Qui si preparano i kit sanitari da inviare ai soldati al fronte. I militari ricevono anche la formazione basica per il Pronto soccorso. Vlada è una delle dottoresse che li istruisce. Porta i capelli neri molto corti e sorride con gli occhi azzurri, mentre ci confessa: «Sono molto orgogliosa quando un ragazzo a cui ho insegnato mi contatta, dopo essere stato ferito, per ringraziarmi. Mi fa sentire utile». 

Un senso di utilità condiviso da tutti, alla Serhiy Prytula. Ma adombrato dalle preoccupazioni per ciò che verrà. In questi giorni Putin ha unilateralmente dichiarato una tregua (che al fronte non viene comunque rispettata) e le sirene d’allarme, a Kyiv, restano in silenzio. Per i locali non è un buon auspicio. Non significa nulla. Non a caso, alle nostre domande sul futuro tutti si adombrano e mormorano: «Di domande ne abbiamo molte anche noi».

di Umberto Cascone

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