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Un segnale giunge da Pechino

In previsione della sconfitta di Putin, il sostegno cinese all’economia di guerra non è più incondizionato e in caso di emergenza da Pechino non verrà lanciato alcun salvagente

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Un segnale giunge da Pechino

In previsione della sconfitta di Putin, il sostegno cinese all’economia di guerra non è più incondizionato e in caso di emergenza da Pechino non verrà lanciato alcun salvagente

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Un segnale giunge da Pechino

In previsione della sconfitta di Putin, il sostegno cinese all’economia di guerra non è più incondizionato e in caso di emergenza da Pechino non verrà lanciato alcun salvagente

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In previsione della sconfitta di Putin, il sostegno cinese all’economia di guerra non è più incondizionato e in caso di emergenza da Pechino non verrà lanciato alcun salvagente

La settimana scorsa due eventi hanno funestato il Cremlino. Il primo, che ha ricevuto vasta attenzione, è stata l’approvazione alla Camera dei Rappresentanti Usa del provvedimento che sblocca 60 miliardi di dollari di assistenza all’Ucraina per fronteggiare l’offensiva russa e gli attacchi indiscriminati sulla popolazione. Il secondo, meno pubblicizzato, tuttavia è più gravido di conseguenze nefaste per il regime di Putin. “The Economist” ha pubblicato un editoriale di Feng Yujun, professore dell’Università di Pechino, prominente esperto di Russia, il quale senza mezzi termini ha preconizzato che la guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina si risolverà con una sonora sconfitta per le ambizioni revansciste russe intrise di farneticazioni sulla Terza Roma. Presumibilmente l’accademico cinese ha ottenuto la luce verde dal vertice del Partito comunista cinese, pertanto le sue analisi segnalano un informale ma brusco ripudio della «partnership senza limiti» forgiata solennemente fra Putin e Xi Jinping alle Olimpiadi prima dell’invasione.

Feng ha esposto quattro fattori chiave che «renderanno inevitabile la sconfitta finale della Russia» e il suo ritiro da tutti i territori ucraini, Crimea inclusa. Il primo è la strenua resistenza degli ucraini, che Feng giudica «straordinaria»; il secondo è l’ampio sostegno internazionale a Kiev, per quanto vacillante; il terzo è la combinazione di «potenza industriale e sistemi di comando, controllo, comunicazione e intelligence» che caratterizza la guerra moderna e per la quale la macchina bellica russa è inadeguata, a causa della «drammatica deindustrializzazione» seguita alla dissoluzione dell’Urss. Il quarto fattore è infine il deficit di informazioni fornite ai vertici del Cremlino dai responsabili della sicurezza nazionale, che impedisce di valutare freddamente e coerentemente la condotta della guerra. Per di più la Russia ha rafforzato la Nato, con l’adesione di Svezia e Finlandia e l’impennata delle spese militari. Feng ha concluso che «le relazioni tra Cina e Russia non sono prestabilite» e che gli eventi degli ultimi due anni le hanno influenzate: in pratica una dichiarazione di sostanziale neutralità (od opportunismo). La svolta non produrrà effetti immediati in quanto la Cina ricava sostanziali benefici dai traffici con la Russia, soprattutto in campo energetico.

Tuttavia ora Putin è avvertito che il sostegno cinese all’economia di guerra non è più incondizionato e che in caso di emergenza da Pechino non verrà lanciato alcun salvagente.

Di Fabio Scacciavillani

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