Una pulizia etnica, parla Tsovinar Hambardzumyan
| Esteri
Le parole di Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatrice dell’Armenia in Italia. Un’intera etnia spazzata via dai suoi retaggi ancestrali

Una pulizia etnica, parla Tsovinar Hambardzumyan
Le parole di Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatrice dell’Armenia in Italia. Un’intera etnia spazzata via dai suoi retaggi ancestrali
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Una pulizia etnica, parla Tsovinar Hambardzumyan
Le parole di Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatrice dell’Armenia in Italia. Un’intera etnia spazzata via dai suoi retaggi ancestrali
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AUTORE: Camillo Bosco
Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatrice dell’Armenia in Italia, è netta nel rispondere alle domande sulla dissoluzione dell’Artsakh. «Ciò che sta accadendo è una vera pulizia etnica degli armeni del Nagorno-Karabakh (nome internazionale della regione, ndr.) da parte dell’Azerbaigian». Trent’anni di esperienza autonomista e democratica di questa comunità di 120mila armeni sono giunti al termine, ma è ancora più grave l’esilio a cui sono obbligati dalle minacce di persecuzioni. «Per 281 giorni il governo di Baku ha affamato queste persone e purtroppo non siamo riusciti a convincere in tempo la comunità internazionale a far cessare le violenze. Gli ultimi tre anni hanno però dimostrato come non sia possibile la coesistenza pacifica fra etnie diverse in un Paese che semplicemente nega la possibilità di una pace».
L’ambasciatrice fa riferimento all’offensiva azera del 2020 che – grazie ai nuovi armamenti turchi e israeliani – aveva ridotto drasticamente il territorio amministrato dallo Stato non riconosciuto dell’Artsakh, da quel momento collegato al mondo esterno soltanto tramite il “Corridoio di Berjor”. Tale strettoia è divenuta il punto focale dell’assedio che ha avvilito le capacità di autodifesa degli indipendentisti, lasciando campo libero alla reintegrazione manu militari: «Fondamentalmente è stato bombardato l’intero territorio del Nagorno-Karabakh. Le vittime sono centinaia, anche civili e bambini. La violenza e i profughi aumentano le tensioni nella nostra regione, il Caucaso, ed è ora molto importante adottare misure concrete per prevenire un’ulteriore escalation».
Non tutto poi può essere trasferito: monasteri cristiano-armeni storici come Gandzasar e Amaras – dove fu insegnata per la prima volta la lingua armena – si trovano ora in zone amministrate da un altro governo. «Il secolare patrimonio del Nagorno-Karabakh è in pericolo» avverte l’ambasciatrice. «Già nell’exclave di Naxçıvan era stato distrutto un intero cimitero medievale di migliaia di croci fiorite. E anche nel 2020 tutto ciò che nei territori passati sotto il controllo dell’Azerbaigian non era stato distrutto è stato poi attribuito surrettiziamente all’etnia degli ‘albanesi caucasici’, nel tentativo di eliminare ogni traccia che dimostri in quei luoghi la presenza ancestrale del popolo armeno».
Una situazione nata per colpa della strategia staliniana del divide et impera etnico, che il dittatore azero Ilham Aliyev utilizza con un opportunismo talvolta spregiudicato. Dopo aver reintegrato il Nagorno-Karabakh, adesso sostiene che la zona di Zangezur (l’attuale regione armena di Syunik) sia stata sottratta all’Azerbaigian dall’Urss. Una rivendicazione che minaccia l’integrità territoriale dello Stato armeno, anche perché sostenuta ambiguamente dalla Turchia. «Forse sono troppo ottimista, ma credo ancora che Aliyev non voglia compiere un’azione così folle» osserva l’ambasciatrice, che non rinuncia alla speranza. «L’Armenia riconosce l’integrità territoriale dell’Azerbaigian ed è bene che la sovranità dell’Armenia non venga quindi messa in discussione, mai! Il Nagorno-Karabakh per noi non è mai stata una questione di territori, ma una questione di diritti. Proprio per incomprensioni simili è iniziato il conflitto negli anni Novanta, che nessuno vuole rivivere».
Un ottimismo difficile da mantenere, ora che nel Caucaso la pax russa è in crisi e quella della Nato è ancora un miraggio lontano.
di Camillo Bosco
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