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Una radio, la memoria e la storia che torna

Sono passati 45 anni circa dagli accordi di Camp David e le guerre sono tragicamente simili a quelle di oggi

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Una radio, la memoria e la storia che torna

Sono passati 45 anni circa dagli accordi di Camp David e le guerre sono tragicamente simili a quelle di oggi

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Una radio, la memoria e la storia che torna

Sono passati 45 anni circa dagli accordi di Camp David e le guerre sono tragicamente simili a quelle di oggi

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Sono passati 45 anni circa dagli accordi di Camp David e le guerre sono tragicamente simili a quelle di oggi

Come tutte le mattine, ieri accompagnavo mio figlio Riccardo a scuola. Durante il tragitto in auto a volte ascoltiamo la radio, altre audiolibri, spesso si parla di calcio.
Abbiamo acceso la radio e inevitabilmente ovunque si parlava dell’eliminazione del leader di Hamas Yahya Sinwar da parte dell’esercito israeliano. Commenti, valutazioni, approfondimenti, sullo sfondo di una storia e di un conflitto secolari, sostanzialmente incomprensibili per un bambino di otto anni.

Mentre ascoltavamo, riflettevo su quanto potesse apparire – evidentemente a livello inconscio – lontano, astruso, tragicamente “da grandi” ciò che mio figlio stava ascoltando. E in quegli stessi momenti sono tornato indietro a quando grosso modo alla sua età, sul finire degli anni ‘70, mi svegliavo nella mia cameretta e la prima voce che ascoltavo era quella che arrivava dalla radiolina che mio padre accendeva in bagno mentre si faceva la barba. Passava da un notiziario all’altro della Rai e se mi avessero detto che avrei passato un bel pezzo della mia vita a leggere i giornali radio non avrei semplicemente capito. Comunque sia, nel dormiveglia sentivo sin troppo spesso la terribile litania di quegli anni, segnati dagli agguati pressoché quotidiani legati al terrorismo “rosso”, alle stragi di quello di matrice “nera”, ai mille fatti che sono poi andati a costituire il puzzle di così ardua comprensione che è la storia italiana degli anni ‘60 e ‘70.

Ogni tanto da quella piccola radio faceva capolino proprio il Medioriente, con le guerre così tragicamente simili a quelle di oggi. Ricordo il senso generale di inquietudine che mi provocava l’idea che questi misteriosi “brigatisti rossi“ volessero distruggere il mio piccolo mondo, fatto di casa, scuola, mamma, papà, compagnetti, giochi. Nulla di conscio – come oggi immagino capiti a Riccardino – ma sottopelle quell’angoscia si insinuava. E poi questi racconti lontani, da mondi che non sapevo piazzare su nessuna cartina geografica.

Presto avrei sviluppato una passione per la storia, sia quella più lontana della seconda guerra mondiale, che quella più vicina incentrata appunto sulla sempiterna crisi mediorientale.
Ricordo l’annuncio dell’assassinio del presidente egiziano Sadat, che nella mia testa di bambino confusamente era passato dalla parte dei “buoni“ perché aveva fatto la pace con Israele, che a sua volta catalogavo fra gli “amici“, in quanto amico degli americani.

Ascoltavo la radio e senza neppure accorgermene ogni mattina cominciavo a formare quella che sarebbe diventata la curiosità di una vita intera. In particolare quell’idea che in Medioriente nulla sia come appare in superficie. Chissà cosa pensa oggi mio figlio di questa tragedia, dei suoi protagonisti, di quei nomi lontani, come lontani per me apparivano Carter, Begin e Sadat. Sono passati 45 anni circa e per certi aspetti – dopo aver anche sognato la pace – siamo mestamente tornati a quella radiolina dei miei anni ‘70.

Di Fulvio Giuliani

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