Usa: il prossimo bivio dei Repubblicani
Usa: il prossimo bivio dei Repubblicani
Usa: il prossimo bivio dei Repubblicani
È la democrazia bellezza, ma attenti ai visitatori. Negli Stati Uniti è partita la campagna elettorale per le primarie in vista delle elezioni presidenziali del 2024 dove gli americani saranno chiamati a scegliere il loro presidente per i successivi quattro anni. L’inizio della battaglia politica, in queste settimane, è stato monopolizzato soprattutto dalla figura dell’ex presidente Donald Trump e dalle sue sorti giudiziarie, fra arresti, foto segnaletiche e campagna elettorale. In democrazia, francamente, l’incrocio giudiziario in prossimità di un voto popolare non è mai un buon segnale, comunque la si pensi e chiunque sia il candidato. Perché in democrazia contano i voti che si prendono e non i processi che si hanno prima di arrivare a sentenze definitive.
Questo incrociarsi di politica e processi oggi in America fa di Donald Trump, fra i candidati del Gop (il Grand old party, il Partito repubblicano) alle primarie, il favorito. Anche se fra le fila dei Repubblicani i candidati sono tanti, è infatti assai evidente dai giornali, dai media, dai sondaggi – ma anche dalla vivacità del dibattito pubblico attorno alla sua figura – che Trump sarà con ogni probabilità il rivale che andrà a sfidare il candidato democratico (probabilmente il presidente attuale Joe Biden). E qui arriviamo al corno della questione politica che riguarda il Gop. Per il Partito repubblicano americano, che ha una storia antica, la trumpizzazione rappresenta un mutamento identitario e di immagine che rischia di cambiarlo per sempre. È vero che in democrazia governa chi prende più voti e questa è la sua natura più libera e rappresentativa, una cosa seria. Serissima. Ma è altrettanto vero che se si fa politica soltanto per prendere tanti voti – e comunque uno in più degli avversari – il rischio è che alla fine arrivino i visitatori e addio alle vecchie idee, alle liturgie, alle forme e pure alla sostanza. È questa la fase assai critica che sta attraversando il Gop da alcuni anni. Cos’era lo sappiamo. Cosa sia oggi no. Intendiamoci, il tema della crisi di identità e del mancato ricambio delle élite investe pure i democratici e non a caso Donald Trump – quando vinse le elezioni presidenziali nel 2016 – aveva contro la democratica Hillary Clinton, moglie dell’ex presidente democratico Bill.
Detto ciò, torniamo alla metamorfosi dei repubblicani in corso da parecchio tempo. Una figura come quella di Donald Trump, nel momento in cui diviene lui stesso l’emblema del Gop, di fatto lo trumpizza e non viceversa. Non c’è dubbio che in questi anni, dal 2015 in avanti, non sia stato il tycoon a essersi repubblicanizzato (nel senso identitario del partito in cui si è candidato) ma l’esatto contrario. Il che dovrebbe indurre le élite ma anche i governatori locali e – perché no – gli elettori storici del Gop ad una riflessione che poi è il bivio politicamente senza uscite (salvo, forse, una retromarcia sul trumpismo) che hanno di fronte oggi. Non hanno avuto il coraggio politico di rifiutare Trump (anche per la sua popolarità), per avere più chance di giocarsela nel 2024. Ma se Trump, una volta entrato nella corsa finale per la Casa Bianca, vincerà la sfida, ebbene i repubblicani rischieranno di ritrovarsi di nuovo al governo dell’America ma senza la loro identità politica e culturale. Ecco perciò che il bivio repubblicano non è quello che gli inglesi chiamano un win-win, una vittoria in ogni caso. Bensì un lose-lose, un perdi-perdi. Comunque vada, Trump vincente o Trump perdente, per il Gop sarà un insuccesso.
Di Massimiliano Lenzi
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