Venezuela, Caracas chiede aiuto a Pechino e Mosca
La richiesta di aiuto militare del Venezuela rivolta alla Russia e alla Cina non stupisce, con una tensione bellica in impennata nel Mar dei Caraibi
Venezuela, Caracas chiede aiuto a Pechino e Mosca
La richiesta di aiuto militare del Venezuela rivolta alla Russia e alla Cina non stupisce, con una tensione bellica in impennata nel Mar dei Caraibi
Venezuela, Caracas chiede aiuto a Pechino e Mosca
La richiesta di aiuto militare del Venezuela rivolta alla Russia e alla Cina non stupisce, con una tensione bellica in impennata nel Mar dei Caraibi
La richiesta caraqueña di aiuto militare rivolta alla Russia e alla Cina non stupisce, con una tensione bellica in impennata nel Mar dei Caraibi. Ora che le indiscrezioni danno certo un qualche tipo di attacco cinetico statunitense contro le infrastrutture militari del Venezuela, mettendo nel mirino della macchina da guerra di Washington le basi e i presidi della Fuerza Armada Nacional Bolivariana, la possibilità di giorni pieni di strike precisi e distruttivi disturbano il sonno del dittatore Nicolás Maduro. Va sgombrato il campo da una ipotesi: neanche se – per assurdo – Mosca e Pechino mandassero una divisione a testa per proteggere questo Paese sudamericano, il regime chavista avrebbe qualche speranza di sopravvivere.
Maduro tuttavia vorrebbe altre armi per i due classici motivi per cui le desidera qualsiasi Paese minacciato da un altro, ovvero deterrenza e resistenza. Mettere le mani su qualche sistema antiaereo di fabbricazione russa, come gli S-300, o cinese come l’FK-3 (già fornito ai serbi), potrebbe rendere l’ottenimento della superiorità assoluta aerea un po’ più difficile per l’aviazione degli Stati Uniti. Difficile che i cinesi si imbarchino in una tale fornitura, visto la mancanza totale di rapporti precedenti. I sistemi difensivi del Dragone dovrebbero tra l’altro superare Panama e richiederebbero mesi per l’addestramento ex novo del personale venezuelano, in un momento di temporaneo ammorbidimento delle relazioni Xi-Trump. Improbabile dunque che ottempereranno alla domanda di un alleato che ha dimostrato comunque poca redditività e scarsa importanza strategica nello scorso decennio.
Riguardo agli intercettori russi, Caracas ne aveva fatto mostra già nel 2019 in seguito a un accordo per un prestito ponte dalla Russia del valore di 2 miliardi di dollari. Ogni batteria di S-300 costa circa 150 milioni di dollari, comprendente una postazione di comando, un radar d’ingaggio, un radar per le quote basse e un numero variabile di lanciatori (ognuno dei quali dotato di quattro missili). Ogni intercettore costa poi circa 1 milione di euro e rappresenta un investimento necessario perché la batteria possa abbattere qualcosa, dopo aver individuato i velivoli nemici.
Nonostante queste informazioni è tuttavia impossibile sapere quanti di questi sistemi sono stati acquistati, anche se sappiamo che la collaborazione tra il Venezuela e la Russia è stata proficua anche per l’acquisizione di sistemi più modesti ma comunque efficaci come i cingolati antiaerei Buk o i gommati S-125 Pechora e Pantsir. Non risultano comunque acquisti recenti di nuovi sistemi, né è noto lo stato di conservazione e operatività di queste piattaforme, al di là della loro sfilata durante le parate propagandistiche. E, anche in quel caso, non si può essere sicuri di nient’altro che della loro mobilità. A ottobre è in effetti atterrato un aereo cargo russo in Venezuela, il cui scopo potrebbe essere stato al massimo trasportare manutentori esperti e pezzi di ricambio per gli equipaggiamenti già in loco. Non esistendo prove certe riguardo questa visita dei moscoviti, non rimangono che le supposizioni.
Nel 2006, quanto Hugo Chávez era ancora vivo, la difesa aerea della Fuerza Armada Nacional Bolivariana fu riformata grazie al decisivo contributo di un altro Stato canaglia: la Bielorussia di Aljaksandr Lukašėnka. Ancora ricco di surplus sovietici, il regime strinse un legame strettissimo col chavismo con numerose reciproche visite dei dittatori fino alla morte di Chávez nel 2013. L’avvento di Maduro e la crisi economica hanno spostato l’asse dell’alleanza più verso Mosca, capace di fornire una scorta militare efficace al nuovo dittatore del Venezuela. Intanto le decine di miliardi di investimenti profusi nella Fuerza Armada Nacional Bolivariana da Chavez in poi sono stati dissipati dagli inevitabili meccanismi di una delle militarocrazie più corrotte e impoverite del Sudamerica: già i sistemi sovietici acquistati, scelti ideologicamente, si presentavano peggiori dei prodotti occidentali che dovevano rimpiazzare e ora, dopo anni di caos e ruberie, rimane ben poco che possa contrapporsi alla potenza di fuoco delle due portaerei destinate a schierarsi al largo delle coste venezuelane.
di Camillo Bosco
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- Tag: esteri
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