Xi-Trump, senti chi parla
Non è questione di fare la radiografia a ciò che si son detti al telefono il leader cinese Xi Jinping e il presidente americano Donald Trump

Xi-Trump, senti chi parla
Non è questione di fare la radiografia a ciò che si son detti al telefono il leader cinese Xi Jinping e il presidente americano Donald Trump
Xi-Trump, senti chi parla
Non è questione di fare la radiografia a ciò che si son detti al telefono il leader cinese Xi Jinping e il presidente americano Donald Trump
Non è questione di fare la radiografia a ciò che si son detti al telefono il leader cinese Xi Jinping e il presidente americano Donald Trump. Perché il sussurrare politica non è mai farla, anche se la chiacchierata di ieri ha e avrà il suo peso nelle relazioni fra Cina e Stati Uniti dei prossimi giorni e mesi.
È questione, come nel caso dell’incontro in Alaska fra il presidente americano e quello russo Vladimir Putin, di misurare piuttosto la nuova linea geopolitica Usa nell’era del tycoon alla Casa Bianca. Uomo attento al business e al potere che si misura sui muscoli (e non sulle alleanze), Trump ha battezzato una nuova diplomazia dell’America, in totale discontinuità con l’anima liberal dei presidenti democratici ma pure con l’esportazione della democrazia dell’epoca di Bush junior.
Volendo badare alla cronaca, dopo la telefonata di ieri fra i due presidenti, da Pechino han fatto sapere che si è trattato di una conversazione molto «positiva e costruttiva» mentre Trump ha detto che sono stati compiuti «importanti progressi su molti temi, incluso il commercio, il fentanyl, la necessità di metter fine alla guerra fra Russia e Ucraina e l’approvazione dell’accordo per TikTok».
Conoscendo la prudenza dei cinesi nel linguaggio, trattasi, volendo dare un voto, di un 6+. Sei e mezzo a essere ottimisti. Gli argomenti in ballo erano e son tosti, di quelli destinati a misurare il potere e gli equilibri nel mondo che verrà: l’economia nell’epoca dei dazi trumpiani, la tecnologia, i social e l’innovazione. Saremo anche degli inguaribili pessimisti – un abito che non ci garba affatto – ma nel giudizio moderatamente positivo dei cinesi sul colloquio di ieri fra Trump e Xi Jinping un peso non indifferente lo riveste la questione di Taiwan. Sì perché Trump, ed è una sua costante d’atteggiamento quando si ritrova a parlare con un protagonista globale e potente (come in questo caso la Cina), tende più a blandire che a mostrar la forza. È quello che ha fatto – salvo ricambiare idea a breve (cosa cui Trump ci ha pure abituati) – decidendo di bocciare in questa estate morente un pacchetto d’aiuti militari a Taiwan da oltre 400 milioni di dollari. La notizia è stata riportata dal quotidiano statunitense “The Washington Post” che ha citato ben cinque fonti a conoscenza del dossiersull’isola che la Cina non vede l’ora di riannettere.
D’accordo, il blocco dei soldi a Taiwan potrebbe esser revocato. Ma il segnale, mandato a Pechino prima della telefonata fra il presidente Usa e Xi Jinping, è chiaro: vige la legge dei più forti. Il resto è lateralismo.
di Massimiliano Lenzi
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