Cosa è cambiato
11 settembre: le recenti immagini sull’Afganistan richiamano un fantasma del passato, quello del terrorismo qaedista, che pensavamo essere ormai scomparso, e spinge sempre di più a domandarsi se ci sarà una seconda volta, un secondo attacco, un secondo 11 settembre.

Cosa è cambiato
11 settembre: le recenti immagini sull’Afganistan richiamano un fantasma del passato, quello del terrorismo qaedista, che pensavamo essere ormai scomparso, e spinge sempre di più a domandarsi se ci sarà una seconda volta, un secondo attacco, un secondo 11 settembre.
Cosa è cambiato
11 settembre: le recenti immagini sull’Afganistan richiamano un fantasma del passato, quello del terrorismo qaedista, che pensavamo essere ormai scomparso, e spinge sempre di più a domandarsi se ci sarà una seconda volta, un secondo attacco, un secondo 11 settembre.
AUTORE: margelletti
In chiunque abbia guardato le Torri Gemelle crollare l’11 settembre 2001, osservare le recenti vicende afghane provoca un inquietante senso di déjà vu. La disperazione degli uomini che cadono da un aereo partito da Kabul rievoca prepotentemente il falling man delle Torri Gemelle, divenuto simbolo di quel giorno tragico, mentre il discorso trionfale di Osama Bin Laden all’indomani dell’attacco riecheggia in quello dei leader di al-Qaeda dopo la riconquista talebana: «Questi eventi dimostrano che la via del jihad è l’unico modo che porta alla vittoria e al potere».
Con queste parole ha fatto sapere al mondo che il momento tanto atteso è finalmente arrivato, che vent’anni di latitanza non hanno scalfito la sua influenza e che chiunque riponga fiducia nell’organizzazione, come hanno fatto i talebani, vedrà la propria vittoria.
La forza di queste immagini e parole richiama un fantasma del passato, quello del terrorismo qaedista, che pensavamo essere ormai scomparso, e spinge sempre di più a domandarsi se ci sarà una seconda volta, un secondo attacco, un secondo 11 settembre.
L’Al-Qaeda di oggi, tuttavia, non è più quella di una volta: i suoi leader sembrano guardare altrove e dimostrano di ragionare più in termini di decenni che di anni. In questo ventennio di attività sottotraccia, al-Qaeda si è concentrata più sull’espansione della sua rete in diversi contesti regionali profondamente fragili, lasciando gli attacchi diretti all’Occidente al figlio rinnegato e rivale sul campo, lo Stato Islamico. La guerra agli Stati Uniti, se non completamente messa da parte, è passata in secondo piano: sotto la guida dell’erede di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri, al-Qaeda è proliferata, si è integrata in diversi territori, rinascendo come gruppo attivo a livello regionale e allineando i propri interessi a quelli dei militanti locali. La vittoria dei talebani è anche la vittoria del mutato approccio al jihad di al-Zawahiri, del sodalizio creato con i talebani e della sua attenzione al near enemy, i governi apostati della regione. Il jihadismo internazionale ha dimostrato una capacità di adattamento alle narrazioni e agli strumenti di comunicazione, per poter diventare sempre più liquido, sempre più subdolo. La spettacolarizzazione degli attentati, figlia della popolarità del mezzo televisivo, ha lasciato il posto alla ricerca di una radicalizzazione diffusa, non importa se superficiale. Il modello ora sono i social.
A vent’anni di distanza dall’11 settembre e a meno di un mese dalla riconquista talebana, l’al-Qaeda globale sembra essere diventata più un’al-Qaeda regionale. Il Grande Gioco, a questo punto, potrebbe non essere ancora concluso. A cambiare, saranno solo le metodologie.
di Andrea Margelletti
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