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A Est dell’Europa

Complicate sono le vicende che si susseguono al confine Est. Tra conflitti e minacce, l’Europa deve muoversi: non può più permettersi di rimanere immobile.
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A Est dell’Europa

Complicate sono le vicende che si susseguono al confine Est. Tra conflitti e minacce, l’Europa deve muoversi: non può più permettersi di rimanere immobile.
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A Est dell’Europa

Complicate sono le vicende che si susseguono al confine Est. Tra conflitti e minacce, l’Europa deve muoversi: non può più permettersi di rimanere immobile.
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Complicate sono le vicende che si susseguono al confine Est. Tra conflitti e minacce, l’Europa deve muoversi: non può più permettersi di rimanere immobile.
Una crisi dopo l’altra al confine Est, e l’Europa avverte sempre più quale sia il problema di non avere una propria forza militare autonoma. Evidentemente non in contrapposizione alla Nato, evidentemente in coordinamento con le forze armate dei Paesi membri, ma comunque in grado di far sentire il suo peso in modo da determinare una differenza positiva. Continua infatti in Bielorussia l’emergenza per i migranti medio-orientali che Lukashenko sta spingendo verso i confini polacchi della Ue dopo averli rastrellati in tutto il Medio Oriente. È vero che sono state comminate al governo bielorusso nuove sanzioni da parte di Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito e Canada, ma evidentemente non bastano. Ancora più inquietante è l’allarme per i 175mila soldati che Putin avrebbe ammassato al confine con l’Ucraina per far partire un blitz a gennaio. Al momento ha dovuto essere Biden a promettere una garanzia al governo di Kiev. Non si sa però quanto affidabile, dopo lo spettacolo cui abbiamo avuto modo di assistere a Kabul. Ma in ogni caso, per dirla alla Stalin, la Casa Bianca un po’ di divisioni per respingere i soldati russi le ha; Bruxelles sicuramente no. Ancora più complicato è l’intrico fra Serbia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Tutti e tre hanno firmato con la Ue un accordo di stabilizzazione e associazione, un primo passo verso l’adesione all’Unione per la quale Serbia e Bosnia-Erzegovina hanno fatto domanda. In Kosovo l’euro è valuta ufficiale, mentre il marco bosniaco vi è agganciato con un cambio fisso. Inoltre, finora è stato sempre un cittadino della Ue l’Alto Commissario istituito dagli accordi di Dayton per supervisionare la pace in Bosnia-Erzegovina. Ma in questo momento da una parte c’è il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik che dopo aver annunciato il trasferimento alla Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Srpska) di servizi sinora affidati alle istituzioni centrali – fisco, intelligence, giustizia e agenzia per il farmaco – insiste nel volere anche un esercito serbo autonomo, pur assicurando di non essere contro la convivenza con musulmani e croati. Anche lui si appoggia a Putin: «Mi ascolta e non mi chiede nulla, a differenza dei leader occidentali» spiega, definendo «solo arroganza» le sanzioni minacciate da Bruxelles. Dall’altra c’è invece il primo ministro del Kosovo Albin Kurti che denuncia il «ruolo distruttivo» della Serbia nella regione: «Abbiamo a che fare con uno Stato che non riconosce il Kosovo, che è autocratico e filo-Mosca». Intanto è la stessa Serbia a essere scossa da una protesta ambientalista che ha bloccato i ponti e le strade nelle sue principali città, contro l’offerta di nuove concessioni minerarie a multinazionali come Rio Tinto e la cinese Zijin. Insomma, se l’Europa resta immobile rischia davvero di farsi male.   di Maurizio Stefanini

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