La vicenda del professor Anthony Fauci, consulente della Casa Bianca e vittima di una violenta campagna politica e social, deve essere un monito per l’Italia: tornare alla normalità non significa cancellare il passato, ma affrontare le sfide del presente.
Nulla è più luminoso della luce in fondo al tunnel. Pur con tutta la prudenza dettata dall’esperienza di due anni di pandemia, è innegabile la spinta verso la normalità. In questi giorni si respira una specie di elettricità nell’aria: è la sensazione di poter programmare un graduale rientro alla vita di prima, con la concreta speranza di non dover subire dolorose marce indietro. È proprio in questo momento che si deve resistere alla tentazione di riscrivere la storia di due anni drammatici, per bassi interessi di bottega o anche solo per gettarsi alle spalle un periodo nero. Psicologicamente comprensibile, ma pericoloso.
Sta succedendo negli Stati Uniti d’America ai danni del professor Anthony Fauci, il virologo e consulente della Casa Bianca. Lo scienziato che fu costretto – almeno per un po’ – a tener testa praticamente da solo alle follie propagandistiche di Donald Trump (impossibile dimenticare a cosa si arrivò pur di negare la realtà, con tanto di consiglio del presidente a iniettarsi disinfettante. «Per scherzo», disse poi accortosi dell’enormità). Oggi Fauci è oggetto di una violenta e vasta campagna politica e social, orchestrata da una fetta del Partito repubblicano a fini squisitamente elettorali. Accusato di ‘faucismo’, lo hanno persino paragonato all’orrendo medico nazista Joseph Mengele e ai suoi esperimenti nei campi di sterminio.
È un monito severo, la vicenda di Fauci. Da questa parte dell’Atlantico non siamo certo immuni all’ansia-rischio di rileggere scelte e protagonisti di 24 mesi di pandemia. Volgendoci all’indietro, è inevitabile conteggiare i tanti errori commessi, eppure mai come in questo caso giudicare senza contestualizzare sarebbe imperdonabile. Si sono forzate norme e consuetudini sino al limite di rottura e della gestione dello Stato d’emergenza – per fare un esempio – abbiamo più volte scritto, sottolineando il rischio di lasciare segni profondi nel nostro ordinamento.
Provare, però, a sfruttare tutto questo per cavalcare la lunga onda elettorale che ci aspetta o per guadagnare qualche like agli occhi di un’opinione pubblica stremata è una tentazione che ci auguriamo di non dover raccontare. Ci basta e avanza la deriva che ha preso l’ala più trumpiana di quello che fu il Gop, il Great Old Party della migliore tradizione repubblicana statunitense.
Non voglia il cielo che in Italia tutto ciò risvegli noti tic, come i disordinati appelli all’antica passione per la spesa pubblica e i debiti. Non ci stancheremo di scrivere quanto “normalità” significhi anche riprendere e affrontare quei problemi che l’emergenza ha fatto accantonare o rinviare. Sono segnali negativi, in tal senso, gli accorati appelli al governo perché trovi risorse per contrastare il ‘caro bollette’. Tradotto, pompare soldi del contribuente, innescando l’ennesimo circolo vizioso fiscale.
“Normalità” non deve significare riscoprire le pulsioni antirazionali e antiscientifiche che la pandemia ha relegato al recinto dei no-vax duri e puri. Mai dimenticare quali guasti siano costati alla politica italiana e alle scelte del Paese negli anni del populismo trionfante (ricordate urla e strepiti contro il gasdotto Tap in Puglia, il cui utilizzo oggi vogliamo raddoppiare per contrastare le mosse russe?). È durata poco, ma potrebbe tornare.
Non dimentichiamo mai che, vinta la Seconda guerra mondiale, il premio degli elettori del Regno Unito a Winston Churchill fu… mandarlo a casa. Se accadde a un colosso del XX secolo, travolto dall’ansia delle persone di dimenticare l’incubo del conflitto, figuriamoci quello che potrebbe capitare ai protagonisti di oggi, spesso sospesi fra un tweet e la realtà.
di Fulvio Giuliani
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