Facebook è maggiorenne. Esattamente 18 anni fa, veniva infatti al mondo con un’inseminazione artificiale di babbo Zuckerberg. La creatura è stata fatta crescere con una disinvolta e cattiva interpretazione del dettato montessoriano, fino a farne “un giovinotto”, come avrebbe detto mio nonno, sulla cui faccia (pardon, face) manca qualche – sano – schiaffone (ché quando ci vuole, ci vuole). È infatti cresciuto senza freni perché senza regole. Sul suo book da miliardi di utenti (e di dollari per il babbo) ha dato amicizia a chiunque, comprese «legioni di imbecilli» (cit. U. Eco). Su quel book da Terzo millennio si ‘formano’ quindi opinioni anche di natura politica, economica, sociale e perfino medica (vogliamo parlare delle centurie di immunologi ed epidemiologi che quotidianamente si esibiscono con acrobazie da Circo Barnum?).
Segno distintivo di Facebook è la velocità, coerentemente con quella Rete che impone pensieri da tweet. A chi, come me, ha i capelli bianchi vengono in mente i ‘pensierini’ con pennino e calamaio, anche se quelli erano in realtà forse più complessi, propedeutici com’erano a pensieri più articolati, da “Tema” insomma (rigorosamente con la maiuscola perché maiuscolo doveva essere il “componimento”). Velocità che infine è diventata un valore quanto è tale in F.1, non per argomentare un’idea, qualsiasi essa sia. In questi 18 anni con “Faccialibro” è cresciuta un’intera generazione che crede che la realtà (se non la verità) sia lì, in quelle velocissime e spesso superficialissime espressioni. Su tutto. Come nel mito della caverna platonica, crede che le ‘idee’ che gli passano sotto gli occhi siano corpo, non ombre fugaci.
Altro e altro ancora si potrebbe dire sugli aspetti negativi di Facebook, ma sarebbe stupido esercizio di demonizzazione di un mezzo: come demonizzare il telefono perché lo si può usare anche per fare stalking (e, a ritroso, si potrebbe arrivare fino alla ruota). Quindi? Quindi la soluzione dovrebbe essere quell’uovo di Colombo chiamato editore, ché babbo Zuc editore non è: lui è un concessionario di pubblicità, per altro dalla bocca buona. Pur di far crescere la sua creatura è disposto a farle frequentare ‘facitori’ di fake. Farla ‘giocare’ con neonazisti, no-vax e – più in generale – no-buon senso. Tutto questo si consuma in una malintesa cifra della democrazia. Cioè, che uno valga uno. Ne deriva che un nullafacente seriale si confronti sulla medicina nucleare con un docente universitario, da pari a pari. Ma la società non è fatta di pari. Con buona pace di chi, pretestuosamente, tira per i – lunghi – capelli ‘l’amico’ Maxim (Robespierre).
Di Pino Casamassima
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- Tag: società, tecnologia
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