Commossi e combattenti
Francesco Maviglia, un reporter italiano di 22 anni, è partito per l’Ucraina per raccontare, con tanti altri colleghi, la verità di questa guerra. Il giovane giornalista è testimone della resistenza del popolo ucraino all’aggressione dell’esercito invasore.
Commossi e combattenti
Francesco Maviglia, un reporter italiano di 22 anni, è partito per l’Ucraina per raccontare, con tanti altri colleghi, la verità di questa guerra. Il giovane giornalista è testimone della resistenza del popolo ucraino all’aggressione dell’esercito invasore.
Commossi e combattenti
Francesco Maviglia, un reporter italiano di 22 anni, è partito per l’Ucraina per raccontare, con tanti altri colleghi, la verità di questa guerra. Il giovane giornalista è testimone della resistenza del popolo ucraino all’aggressione dell’esercito invasore.
AUTORE: Andrea Pamparana
Lo confesso, ieri mi sono commosso. Per la rubrica “Emoticon” – che potete seguire sul sito online de “La Ragione” – ho intervistato un giovane reporter italiano di 22 anni, Francesco Maviglia. Se ne stava al bar con alcuni amici, fotografi e videomaker, in Italia. A un certo punto hanno deciso di prendere attrezzatura e zaino e di recarsi là dove oggi c’è bisogno non solo di viveri, medicine e armi ma anche di immagini, quelle che vanno a costruire il mosaico della verità. Hanno preso un aereo fino a Varsavia e da lì un autobus per Leopoli, primo avamposto nell’Ucraina occidentale.
Nel viaggio di andata per entrare nel Paese, a sinistra colonne di profughi – donne e bambini soprattutto – che cercavano una via di salvezza verso la Polonia. Con loro, invece, uomini e perfino alcune donne che tornavano indietro dopo aver salutato i propri cari oppure entravano in Ucraina provenienti da altri Paesi, tra cui l’Italia, dove tempo fa erano emigrati in cerca di lavoro. «Stiamo tornando a casa perché vogliamo opporci all’invasore russo». Così ha raccontato a Francesco una ragazza, aggiungendo: «Ecco, vedete, voi dovete raccontare questa verità. L’Ucraina ha quaranta milioni di abitanti. Alcuni sono usciti o stanno per farlo, ma altri – tanti, la maggior parte – restano qui per combattere, per difendere la nostra patria». Francesco sta descrivendo, con i resoconti e le immagini che invia dall’Ucraina, proprio questo: la resistenza di un popolo all’aggressione dell’esercito invasore, la volontà ferrea di ribadire la propria scelta di indipendenza e di appartenenza al nostro stesso mondo.
Francesco si trovava a Ternopil in un hotel. Gli hanno chiesto di lasciare la stanza perché dovevano ospitare alcuni profughi, tra cui bambini e anziani. In piazza lui e i suoi colleghi sono stati fermati per l’ennesimo controllo da un poliziotto che con meticolosità ha verificato i loro documenti. Nel frattempo, s’era fatto buio e Francesco e i suoi colleghi non sapevano dove potersi recare per trascorrere la notte. Il poliziotto ucraino li ha invitati a casa sua. Francesco e i suoi colleghi erano in imbarazzo, non avrebbero voluto arrecare disturbo. «Non c’è problema – ha detto loro l’agente – potete dormire nei letti delle mie figlie, che per fortuna sono in salvo in Italia”. Questo è il popolo ucraino.
Lungi da me il voler fare retorica. Ma in quel momento ho avuto un groppo in gola e mi sono sentito orgoglioso di quel ragazzo ventiduenne che non fa propaganda ma ci racconta, con tanti altri colleghi, la verità di questa guerra. Si è recato poi in una scuola. Non c’erano maestre e allievi ma un vero e proprio magazzino stipato di medicinali, di cibo, di maschere antigas, di fucili. Una ragazza, anche lei ventiduenne, gli ha spiegato che stavano preparando reti per mimetizzare i carri armati ucraini, pronti a scendere in campo nella innevata pianura ucraina, nelle foreste in cui si nascondono non solo i soldati dell’esercito di Kiev ma anche quelli che possiamo definire i partigiani della resistenza.
Forse non vinceranno la guerra di fronte alla potenza militare dei russi, ma la loro battaglia l’hanno già vinta. La battaglia che ci accomuna al popolo ucraino: quella della civiltà.
di Andrea Pamparana
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