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Concorrendo

Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe occuparsi della nuova normativa sulla concorrenza, annunciata a luglio. La mano pubblica ha il dovere di sgomberare il mercato da chi ne ostruisce i passaggi e diminuisce la dinamicità, tenendo sempre presente che l’interesse da difendere resta quello del cittadino.
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Concorrendo

Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe occuparsi della nuova normativa sulla concorrenza, annunciata a luglio. La mano pubblica ha il dovere di sgomberare il mercato da chi ne ostruisce i passaggi e diminuisce la dinamicità, tenendo sempre presente che l’interesse da difendere resta quello del cittadino.
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Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe occuparsi della nuova normativa sulla concorrenza, annunciata a luglio. La mano pubblica ha il dovere di sgomberare il mercato da chi ne ostruisce i passaggi e diminuisce la dinamicità, tenendo sempre presente che l’interesse da difendere resta quello del cittadino.
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Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe occuparsi della nuova normativa sulla concorrenza, annunciata a luglio. La mano pubblica ha il dovere di sgomberare il mercato da chi ne ostruisce i passaggi e diminuisce la dinamicità, tenendo sempre presente che l’interesse da difendere resta quello del cittadino.
La scusa materna era: perché fa bene. L’infante non modificava il suo giudizio: però fa schifo. Poi le case farmaceutiche impararono a dolcificare e aromatizzare gli sciroppi (vile ricerca del profitto, forse, ma non facevano più schifo, quindi viva il profitto). Non sta scritto da nessuna parte che se una medicina è amara allora fa bene, ma nel caso della concorrenza, come già sulle questioni relative allo stato sociale e al sistema previdenziale, la quantità di zuccheri elettoralistici ha portato la nostra glicemia collettiva alle stelle, quindi sì: è bene e fa bene che la medicina desti qualche ripulsa. La nuova normativa sulla concorrenza era stata annunciata per luglio. È scivolata di settimana in settimana e oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe occuparsene. Vedremo nel concreto, ma è bene avere un’idea di quanto sia rilevante e decisiva la materia. E avere un metro di giudizio, che è meglio anticipare. Ad esempio: per far valere la concorrenza nel settore degli stabilimenti balneari – il che porta con sé più investimenti, migliori servizi e prezzi che servano ad attirare clienti – gira voce che il governo sarebbe orientato ad attendere la sentenza del Consiglio di Stato, relativa alla frattura fra direttiva europea e follia di prorogare al 2033 le concessioni esistenti. Brutto segnale. Intanto perché sono le leggi a dover guidare le sentenze e non le sentenze (ove non siano costituzionali, ma è tutt’altra faccenda) a guidare le leggi. Poi perché – checché ne pensi il Consiglio di Stato, che giudica la legittimità e non la bontà – bloccare tutto quel mercato fino a Natale del 2033 significa cancellare la concorrenza e promuovere la rendita, disincentivando dal fornire più e nuovi servizi e dal praticare prezzi allettanti. I gestori lamentano che così, seguendo quei cattivoni dell’Unione europea, le nostre amate spiagge finirebbero in mano a concorrenti stranieri e si scoraggerebbero gli investimenti. Magari finiscono a giovani dinamici e non a chi campa di rendita senza far migliorie. Comunque la soluzione è semplice: si fanno le gare e si valuta anche quanto il concessionario ha fin lì investito. L’interesse da difendere, su un bene pubblico, è quello del cittadino. Il che vale anche per la giungla del capitalismo municipale, con una miriade di società formalmente private e sostanzialmente municipalizzate. Non si tratta di far la guerra al capitale pubblico o privato, ma di rendere migliori i servizi al cittadino. Qui raccontammo ciò che fece Ernesto Nathan, sindaco di Roma: siccome i privati avevano il monopolio dei trasporti urbani, che facevano pena e costavano assai, creò la municipalizzata, che doveva rispondere a tre condizioni: servizio migliore, prezzi più bassi e fare profitti. Ci riuscì, perché se c’è una rendita monopolistica i margini per quel ‘miracolo’ esistono eccome. La mano pubblica s’appresta, per anni, a investire capitali enormi. Perché quel debito non diventi la pietra al collo collettivo è necessario che quei soldi non finiscano a pochi, accrescendo la loro forza nel e sul mercato, ma a quanti sappiano essere più produttivi, quindi più capaci di trasformarli in ricchezza, rendendo non solo sostenibile, ma riducibile il debito. Per questo quella stessa mano pubblica ha il dovere di sgomberare il mercato da chi ne ostruisce i passaggi e diminuisce la dinamicità. A molte imprese non piacerà, generando pressioni sulle associazioni datoriali e inducendo politicanti a cavalcare quegli umori, come già accade. A nessuno piace perdere privilegi e rendite. Ma è necessario, a qualsiasi livello, se si punta a far crescere la ricchezza prodotta più di quanto, nel frattempo, cresca il debito. Infine c’è il tema degli equilibri: la cucchiaiata di amaro non è gradita da chi sperava nei continui regali pensionistici, ma deve inghiottirla, perché è giusto così, ma non è che municipalizzate e imprese improduttive se ne possano stare con la boccuccia serrata. Come diceva la mamma: è per il tuo bene. di Davide Giacalone 

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