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Dieci anni di minacce, missili, diplomazia teatrale e isolamento

A 10 anni dall’inizio della dittatura di Kim Jong un il bilancio non è affatto positivo. Va raccontando di voler mettere il popolo al primo posto ma la Corea del Nord è nel pieno di una crisi alimentare. I negoziati sul nucleare con gli USA sono fermi, per Biden non sono una priorità
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Dieci anni di minacce, missili, diplomazia teatrale e isolamento

A 10 anni dall’inizio della dittatura di Kim Jong un il bilancio non è affatto positivo. Va raccontando di voler mettere il popolo al primo posto ma la Corea del Nord è nel pieno di una crisi alimentare. I negoziati sul nucleare con gli USA sono fermi, per Biden non sono una priorità
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Dieci anni di minacce, missili, diplomazia teatrale e isolamento

A 10 anni dall’inizio della dittatura di Kim Jong un il bilancio non è affatto positivo. Va raccontando di voler mettere il popolo al primo posto ma la Corea del Nord è nel pieno di una crisi alimentare. I negoziati sul nucleare con gli USA sono fermi, per Biden non sono una priorità
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A 10 anni dall’inizio della dittatura di Kim Jong un il bilancio non è affatto positivo. Va raccontando di voler mettere il popolo al primo posto ma la Corea del Nord è nel pieno di una crisi alimentare. I negoziati sul nucleare con gli USA sono fermi, per Biden non sono una priorità
Era il 28 dicembre 2011. Con lo sguardo fisso verso il basso, Kim Jong Un – all’epoca non ancora trentenne – scortava sotto la neve il catafalco del padre tra due ali di folla in lutto per la morte del leader nordcoreano a causa di un attacco cardiaco. Mentre dieci anni fa i media di Pyongyang diffondevano le immagini del funerale di Kim Jong Il, gli analisti cercavano di farsi un’idea più precisa di quel giovane che si preparava a diventare leader di un Paese imprevedibile e dotato dell’arma nucleare. Le intelligence di Washington, Tokyo e Seul ne sapevano pochissimo: la notizia della morte dell’uomo che aveva guidato per 17 anni la Corea del Nord era arrivata con due giorni di ritardo, mentre erano poche le informazioni su Kim Jong Un che solo una manciata di mesi prima era diventato vice-presidente della potente Commissione militare centrale. Se del nuovo leader nordcoreano non si conosceva con certezza neanche l’anno di nascita, tra gli analisti prevaleva la convinzione che il regime non sarebbe sopravvissuto alla terza successione: l’ultimo erede della dinastia dei Kim appariva troppo giovane e inesperto, mentre il Paese era ridotto alla fame e strangolato dalle sanzioni. Altri speravano invece che Kim Jong Un – che aveva studiato in Europa e che si sapeva appassionato di Nba – avrebbe lanciato riforme economiche e una parziale apertura del Paese che ricalcasse le orme della Cina o del Vietnam. Previsioni tutte sbagliate. Dieci anni più tardi, Kim Jong Un rimane saldamente alla guida del regime di Pyongyang e con l’inizio della pandemia ha sigillato ancor di più i confini del Paese. Sotto la sua leadership la Corea del Nord è diventata una potenza nucleare il cui arsenale è in grado di spaventare i Paesi vicini – in questo decennio ci sono stati oltre 120 test missilistici, mentre erano stati solo una trentina negli anni del padre e del nonno – e ora i suoi sistemi di armamento sono diventati sempre più sofisticati e ad ampio raggio. Dopo aver raggiunto l’obiettivo di sviluppare un missile balistico intercontinentale in grado di raggiungere teoricamente le principali città degli Stati Uniti, Kim Jong Un ha incontrato per tre volte un presidente americano in carica: successo diplomatico che non era mai riuscito ai suoi predecessori. Prima la storica stretta di mano con Donald Trump a Singapore nel giugno 2018, poi un nuovo vertice con l’inquilino della Casa Bianca ospitato nella capitale del Vietnam all’inizio del 2019 – quando le diplomazie di Washington e Pyongyang non trovarono un accordo sull’alleggerimento delle sanzioni contro il regime – e infine un nuovo incontro qualche mese più tardi sul confine tra le due Coree quando Kim Jong Un invitò il presidente degli Stati Uniti a superare la linea che segna la frontiera e a muovere qualche passo in territorio nordcoreano. Dopo aver liquidato in modo brutale chi poteva essere una minaccia per la sua leadership – nel 2013 la condanna a morte dello zio Jang Song Thaek con l’accusa di tradimento; qualche anno dopo agenti nordcoreani orchestrarono l’omicidio del fratellastro Kim Jong Nam, avvelenato con un agente chimico all’aeroporto della capitale della Malaysia – Kim Jong Un ha ridotto il peso delle forze armate nella struttura del potere di Pyongyang, mentre ha più volte spiegato di voler consolidare la propria eredità politica «mettendo il popolo al primo posto». Una promessa difficile da mantenere per la nomenklatura di Pyongyang: mentre si moltiplicano gli allarmi per una nuova crisi alimentare in Corea del Nord e l’emergenza sanitaria ha spinto il Paese a isolarsi sempre di più, la ripresa dei negoziati sul nucleare non sembra una priorità dell’amministrazione Biden.   di Francesco Radicioni

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