Da due anni siamo immersi in un clima di incertezza e precarietà che si potrebbe definire paura. Tutto è iniziato allo scadere del 2019, con la pandemia. Una sequenza di immagini che non è facile rimuovere, tutte incentrate su scenari simili: sofferenza declinata secondo le oscillazioni della contagiosità di un virus che neppure sapevamo esistesse. La prospettiva della ripresa tv è quasi rituale: interno ospedaliero, volti che scompaiono coperti da maschere filtranti e schermi protettivi; al di là i pazienti che, persa ogni significatività umana, non vengono mostrati nel volto, normalmente celato; dobbiamo intuire che macchine e tubi, questi sì ostentati, nascondano persone. Sicché, nello scorrere continuo di questa realtà inaccettabile, fisiologicamente la paura ha iniziato a dissolversi: non più intensa come i primi giorni, per una sorta di sfinimento o per il bisogno di rimuovere per sopravvivere.
L’ansia del ritorno all’ordinario, il desiderio di sorridere, la percezione del colore, la luce: tutto è durato lo spazio di una breve, rassicurante ordinarietà. Il tempo di Sanremo e della rielezione del medesimo presidente della Repubblica avevano indotto l’illusione di una tranquillità che, purtroppo, è stata dispersa dall’urgenza di un nuovo timore: imprevedibilmente, la guerra.
Non una delle tante: lontana da noi, avvertita sì, ma in fondo non percepita per ciò che comporta. E invece è a poca distanza, in Europa. Le nuove immagini che ci vengono proposte sono assai simili ad altre di cui si narra nei libri di storia. Sono sequenze ripetute: volti imperscrutabili che, con tono inespressivo, parlano di un’alterazione degli equilibri che induce la necessità di intervenire in armi, quelle vere e distruttive; missili intercontinentali che vengono esibiti come giocattoli. I protagonisti spiegano come la via migliore sia quella diplomatica. Ci abbiamo creduto, ma non è vero. Davanti a noi scorre la realtà: persone anziane, volti di bambini confusi, paesaggi monotonamente piani, neve e fango, case precarie devastate dalle bombe, lunghe file di carri armati, migliaia di soldati, aerei di caccia e navi. Istantanee, che osserviamo sconcertati mentre sfuma la paura della pandemia. Cosa ci riserva il domani? Forse le baby gang.
di Cesare Cicorella
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