Un Paese con 5,1 anziani per ogni bambino è un Paese che sta lentamente e con coscienza rinunciando al futuro.
Gli ultimi dati diffusi dall’Istat, relativi alla fine del 2020, sono impietosi, ma non sorprendenti. Il trend del gelo demografico lo conosciamo molto bene e lo abbiamo più volte affrontato in questi spazi, eppure sembra che niente e nessuno riesca a porre un argine. Sono tantissime le cifre interessanti che potrebbero essere estrapolate dall’ultimo censimento, ma proprio il rapporto anziani-bambini ci sembra quello più rilevante, anche perché rappresenta in modo persino crudele la strada su cui si è incamminata l’Italia.
Frutto di quei poco più di 400.000 nuovi nati nel 2020 e nel 2021 andremo sotto questa soglia psicologica.
Appena nel 2011, il rapporto fra anziani e bimbi era di 3,8, con un’accelerazione impressionante nel giro di 10 anni. È bene sempre ricordare che cinquant’anni fa, nel 1971 e a valle del baby boom, il rapporto era sostanzialmente paritario: 1,1.
Ora, pensare che davanti a questo sfacelo demografico siano sufficienti come risposta l’assegno unico per le famiglie o provvedimenti analoghi va bene per chi deve andare ospite in qualche talk show.
Intendiamoci, come recita un vecchio adagio, “piuttosto che niente meglio piuttosto”, ma è l’approccio ad apparirci errato. Non convinceremo nessuno a far figli parlando solo di denaro e senza lavorare su due leve: la prima, imprescindibile ed estremamente complessa nella società di oggi, richiama alla meraviglia della scelta. Può apparire persino vetusto, ma ricordare quale incredibile avventura sia quella di una nuova vita non sarebbe male come premessa. Fermo restando il sacrosanto diritto di operare scelte diverse.
In seconda battuta, se si vuole provare ad aiutare sul serio le famiglie, è sul tasto dei servizi che dovremmo battere. Piuttosto che strombazzare una mancia di qualche decina di euro al mese, investiamo tutto quello che abbiamo in asili nido, orari flessibili, strutture sportive e ricreative e via dicendo.
Avremo una soluzione magari meno mediatica, ma più seria.
di Fulvio Giuliani
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