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Google, l’incubo di ogni utente

Negli ultimi anni i furti di dati online a scopo di estorsione sono cresciuti in modo esponenziale dappertutto. Una minaccia non di poco conto se si pensa quanto ormai la nostra esistenza sia indissolubilmente legata all’identità online.
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Google, l’incubo di ogni utente

Negli ultimi anni i furti di dati online a scopo di estorsione sono cresciuti in modo esponenziale dappertutto. Una minaccia non di poco conto se si pensa quanto ormai la nostra esistenza sia indissolubilmente legata all’identità online.
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Google, l’incubo di ogni utente

Negli ultimi anni i furti di dati online a scopo di estorsione sono cresciuti in modo esponenziale dappertutto. Una minaccia non di poco conto se si pensa quanto ormai la nostra esistenza sia indissolubilmente legata all’identità online.
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Negli ultimi anni i furti di dati online a scopo di estorsione sono cresciuti in modo esponenziale dappertutto. Una minaccia non di poco conto se si pensa quanto ormai la nostra esistenza sia indissolubilmente legata all’identità online.
Sarà capitato almeno una volta a tutti di sacramentare a causa di una password dimenticata o di una richiesta di verifica online più complicata e lunga del previsto, arrivando a provare la netta sensazione che la sicurezza informatica, anziché semplificare la vita, la renda più difficile proprio al titolare stesso di un account. Intanto eventuali hacker malintenzionati riescono agevolmente a farsi un baffo delle farraginose protezioni imposte agli utenti e grazie ad appositi software violano con nonchalance interi database, appropriandosi di password e dati personali. La verità è che, purtroppo, la sicurezza non è mai troppa e negli ultimi anni i furti di dati a scopo di estorsione – soprattutto nei confronti di aziende che possono permettersi di pagare un cospicuo riscatto – sono cresciuti in modo esponenziale dappertutto, pure in Italia. Una minaccia non di poco conto, se si pensa quanto ormai la nostra esistenza sia indissolubilmente legata, se non addirittura dipendente e dunque condizionata, all’identità online. Nella Rete è presente ogni aspetto caratterizzante della nostra vita: dal conto corrente ai documenti personali, dal profilo sanitario a quello professionale, fino ai lati forse meno essenziali ma non meno impattanti come l’account sui social o quello su Amazon e altri siti da cui al giorno d’oggi tutti compriamo praticamente di tutto. Con una sardonica allegoria si potrebbe dire che siamo finiti intrappolati nella rete, invischiati ogni giorno di più e ci va bene così perché – almeno in teoria, quando ogni cosa funziona per il verso giusto – è tutto più comodo, pratico, veloce.

Ben venga quindi qualche fastidio per l’utente, se ciò può essere utile anche solo in parte a preservarne la sicurezza e la privacy. Tollerare i macchinosi automatismi dei sistemi di sicurezza informatici è allora una croce che vale la pena portare con pazienza.

Ma pur predisponendoci di buon grado ad accettare i protocolli gestiti dal software di un computer, quando invece si manifesta in tutto il suo nitore la mancata competenza del personale addetto alla sicurezza, la musica cambia del tutto. Si potrebbe ipotizzare che certi disservizi possano verificarsi solo nell’interazione con aziende piccole e conseguentemente non molto preparate alla gestione efficiente delle procedure di sicurezza, e invece no: pure alcuni colossi del settore riservano delle brutte sorprese; Google, giusto per citare un caso eclatante. Ed ecco cosa è già accaduto a più di un utente. Viene ricevuta un’email da Google dove si comunica che è imperativo completare una verifica di identità procedendo alla compilazione di un modulo, pena la sospensione del proprio account entro 10 giorni con l’impossibilità di utilizzare qualsivoglia applicazione: G-Suite, Google Drive, Google Mail, Google Pay, Google Store e chi più Google ha, più Google metta.

Nel caso in cui si provi a contattare l’assistenza telefonica, l’addetto ammetterà candidamente di non esser in grado di fornire alcuna spiegazione in merito alla necessità di tale controllo.

Nel modulo viene chiesto di fornire la propria carta d’identità, manco si trattasse di un accertamento di polizia. Trascorse 48 ore dalla compilazione, si riceve una nuova email da Google, il cui contenuto si rivela a dir poco surreale: dopo i ringraziamenti aziendali per aver fornito le informazioni richieste, vengono domandati alcuni dettagli aggiuntivi per poter finalizzare la verifica: l’indirizzo e il nome anagrafico completo del proprio padre in quanto individuato come persona collegata al titolare dell’account. A questo punto sarà difficile mantenere la calma, visto che pure la polizia di Stato si accontenterebbe di una carta d’identità valida ai fini di un controllo. Scrivendo un’email per ottenere delucidazioni, arriva la risposta di un ‘esperto’ Google che addirittura rilancia con l’incredibile richiesta della carta d’identità paterna, comunicando che non c’è altro modo di risolvere la situazione perché questo tipo di pratica non è neppure gestita in Italia, bensì Oltreoceano da una squadra che non è possibile contattare direttamente. Cosa fare? Assecondare pure questa richiesta sperando che sia l’ultima o rassegnarsi all’ostracismo digitale del proprio account? Sembra una storia dal sapore kafkiano partorita dalla paranoica mente di qualche complottista, e invece è la triste verità. Mala tempora currunt.   Di Piermarco Rosa

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