Questa scena non è solo agghiacciante, è uno sguardo nell’abisso: un fucile puntato alla testa di un bambino. Non è un film sulle gang delle metropoli americane, e la realtà è di una rapina in una pizzeria alle porte di Napoli.
Una di quelle aree urbane lasciate in stato di semi abbandono per decenni, terreno di coltura ideale per la bassa manovalanza criminale. Quartieri dove ci si è abituati più o meno a tutto, ma vogliamo fermamente credere mai e poi mai a un fucile puntato contro una “creatura“, come dalla notte di tempi più civili vengono chiamati dolcemente i bimbi nel capoluogo partenopeo. Eppure è successo, per gli spiccioli di una rapina senza senso, da balordi di periferia. Non casuale, purtroppo.
Come abbiamo appena scritto, i troppi anni di degrado e abbrutimento progressivo tollerati in modo sconsiderato (perché non intervenire equivale a tollerare), hanno generato una contro-società del tutto abbrutita. Un mondo alla rovescia.
Da un lato, si ha il terrore che a “mettere ordine“ e “punire“ la follia in quel ristorante possa essere il boss locale o un aspirante tale, per far vedere chi comandi per davvero. Con lo Stato ridotto a comparsa, costretto a inseguire la “giustizia” della camorra. È già successo, sin troppe volte.
Dall’altro, le persone: osservano (non in questo caso specifico, in generale), spesso senza dir nulla, in un progressivo imbarbarimento della vita civile. Troppi hanno finito per confondere la fiction di Gomorra con la realtà. Basta avere il coraggio di osservare con onestà intellettuale look, movenze e musica ascoltata da torme di ragazzi di periferia e non solo, per avvertire l’abbraccio gelido di una realtà definita dalla violenza e dalla sua ostentazione.
Un mondo in cui a qualcuno può sembrare normale puntare un fucile alla testa di un bambino.
di Fulvio Giuliani
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