L’economia non tace mai, neppure in tempi di guerra. Partiamo da qui, da una regola principe che sta alla base del mercato, per raccontare l’incontro virtuale tra Cina e Unione europea che si è consumato ieri quando si sono parlati da una parte il presidente Xi Jinping e il primo ministro Li Keqiang (per la Cina) e dall’altra (per l’Ue) i presidenti della Commissione europea Ursula von der Leyen, del Consiglio europeo Charles Michel e l’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Josep Borrell.
Al centro dei colloqui soprattutto l’invasione russa dell’Ucraina. Fuori dalle facili retoriche delle parti e al di là dello scambio di chiacchiere in collegamento tra Pechino e Bruxelles, una diplomazia possibile è stata comunque tentata. Ovvero il fatto che la globalizzazione dell’economia possa rappresentare una modalità di salvezza dalle armi. Ha detto la Cina all’Unione europea, proponendo la propria ricetta per uscir fuori dal conflitto in Ucraina: dobbiamo insistere sulla promozione dei colloqui di pace, dobbiamo evitare i rischi di una crisi umanitaria più ampia, dobbiamo provare a costruire una pace che sia duratura in Europa e in Eurasia e dobbiamo cercare di prevenire il diffondersi di conflitti regionali perché – e l’ha sottolineato lo stesso presidente cinese Xi Jinping – «la crisi in Ucraina si è aggiunta alla lunga pandemia del Covid-19 e a un’incerta ripresa economica globale» e Cina e Unione europea quali «grandi forze, grandi mercati e grandi civiltà, devono aumentare la comunicazione sulle questioni della pace e dello sviluppo globali». Pace e sviluppo. Mercati e civiltà. Non si tratta di vocaboli usati a vanvera – da parte dei cinesi – bensì di messaggi di mediazione per un dialogo possibile. L’invito di Pechino, seppur cullato nella pigrizia comoda di non condannare l’aggressione russa all’Ucraina, pare chiaro: oggi pensare all’economia reale e agli affari salverà il mondo dalla guerra.
Vi è però un paletto che questa golosità strategica, assai comoda per i cinesi, non riuscirà a far digerire alle democrazie. E si tratta del paletto – sacrosanto per chi ama le libertà – che ieri nei colloqui ha esplicitato Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo, riguardo alle sanzioni messe in campo dall’Europa e dall’Occidente verso la Russia. «Il nostro obiettivo – ha sottolineato – è mettere pressione al Cremlino: queste sanzioni hanno un costo anche per noi nell’Unione europea ma si tratta di una scelta per difendere la libertà e la democrazia. Se si aggirano le sanzioni si prolunga la guerra. Mentre invece un’azione positiva da parte della Cina per fermare la guerra sarebbe benvenuta da parte dell’Ue e del mondo intero». Il paletto posto dall’Unione europea è inequivocabile: nessuno obbliga la Cina a condannare Mosca. Altro conto però è sostenere la Russia, direttamente o anche indirettamente. In economia o in armi. Insomma, l’Ue ha parlato della Russia affinché Pechino intendesse: l’azione delle sanzioni verso Mosca sarebbe ancora più efficace se la Cina decidesse di non aiutare, in nessun modo, Putin ad aggirarle.
Diversamente dalla geometria di un triangolo rettangolo, il gioco politico dei cateti appare a questo punto per nulla scontato. Si tratta infatti di capire quale sarà l’inclinazione dell’ipotenusa che vorrà tracciare la Cina rispetto alla guerra di Putin. Un’inclinazione ambigua, stiracchiata tra l’economia globale da salvare – perché utile anche a Pechino – e i silenzi sull’invasione militare che di globale non ha nulla, oppure l’inclinazione che ha scelto l’Unione europea? Dalla risposta a questa domanda dipenderà la geometria del mondo dei prossimi anni.
di Massimiliano Lenzi
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