I medici e la triste sfida di chi rifiuta le cure
Ai medici impegnati nella lotta al Covid è richiesta una nuova sfida: avere a che fare con irremovibili No-Vax che rifiutano le cure anche quando necessarie alla sopravvivenza. E questa, per loro, è l’ennesima prova psicologica, la frustrazione di chi non riesce a compiere il proprio dovere.
I medici e la triste sfida di chi rifiuta le cure
Ai medici impegnati nella lotta al Covid è richiesta una nuova sfida: avere a che fare con irremovibili No-Vax che rifiutano le cure anche quando necessarie alla sopravvivenza. E questa, per loro, è l’ennesima prova psicologica, la frustrazione di chi non riesce a compiere il proprio dovere.
I medici e la triste sfida di chi rifiuta le cure
Ai medici impegnati nella lotta al Covid è richiesta una nuova sfida: avere a che fare con irremovibili No-Vax che rifiutano le cure anche quando necessarie alla sopravvivenza. E questa, per loro, è l’ennesima prova psicologica, la frustrazione di chi non riesce a compiere il proprio dovere.
Ai medici impegnati nella lotta al Covid è richiesta una nuova sfida: avere a che fare con irremovibili No-Vax che rifiutano le cure anche quando necessarie alla sopravvivenza. E questa, per loro, è l’ennesima prova psicologica, la frustrazione di chi non riesce a compiere il proprio dovere.
Nelle settimane degli ospedali al collasso, delle bare sui camion militari a Bergamo, delle corsie di Pronto Soccorso piene di persone in barella, vennero fatte delle scelte. Non c’erano posti per tutti in terapia intensiva e toccava ai medici scegliere a chi dare la possibilità di sopravvivere. Una scelta atroce, che Siaarti – la società scientifica che riunisce gli anestesisti e i rianimatori – mise nero su bianco. Bisognava scegliere chi aveva più possibilità di guarire e farcela. Per chi lo fece fu straziante. Fu terribile anche ascoltare le loro testimonianze.
E infatti non mancarono le polemiche. Ma i respiratori non c’erano. Non c’erano i posti letto. Eravamo in guerra.
Oggi lo siamo ancora, in quella guerra. Ma le cose sono cambiate e tanto, visto che quegli stessi medici in un documento del 31 dicembre hanno affrontato la loro nuova emergenza: quella di chi le cure le rifiuta. Anche quando sta per morire. Si legge che «nessun trattamento può essere imposto anche se è salvavita» ed è così. Vale per il Covid e per ogni altra malattia potenzialmente letale: esiste il diritto insindacabile di ciascuno a scegliere se farsi curare oppure no. Perché oggi i posti letto ci sono, e anche le cure. Al malato resta così la scelta, come a quel padre di 48 anni che ha rifiutato la terapia intensiva, anche quando a chiederglielo in lacrime nella loro ultima videochiamata era suo figlio. Pensava di guarire comunque, e invece è morto. Quello che si legge in quel documento è che quattro no-vax su dieci che arrivano in ospedale in gravi condizioni rifiutano qualsiasi tipo di cura. Oppure vogliono che gli venga somministrato quello che prevedono i loro ‘protocolli alternativi’. Di più, il rifiuto avviene alle volte con modalità aggressive nei confronti dei medici. Che però vengono invitati a non venir meno ai loro doveri: non devono in sostanza lasciarsi prendere dallo sconforto, devono provare a persuadere i pazienti e nel caso persista il rifiuto delle cure devono comunque fare il possibile perché vengano garantite almeno quelle palliative. Come succederebbe se non stessimo parlando di Covid. Insomma non può esserci giudizio, non deve esserci da parte di chi cura. Certo, è triste leggere che quegli stessi medici ‘eroi’ già profondamente provati dai mesi peggiori della pandemia ora si ritrovano a essere «psicologicamente provati» per non poter fare fino in fondo il proprio dovere. A loro, comunque, dovrebbe andare sempre il ringraziamento di tutti. Di chi si è vaccinato, di chi non vuole farlo, di chi ci crede e di chi no. Di Annalisa GrandiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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