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Il maschio è diventato inutile ma il mondo non è divenuto migliore

In questi giorni concitati, dopo la decisione sul ddl Zan, insistere nell’attacco alla figura maschile non ha più il sapore dell’anticonformismo, come ai tempi del film “L’ultima donna” di Marco Ferreri. Lungometraggio che compie 45 anni e che meriterebbe di essere rivisto.
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«La verità è che l’uomo non è più ‘fondamentale’. Ho cercato di mostrare l’estinzione di questa idea». Sono trascorsi 45 anni da quando il regista Marco Ferreri, spiegava, con parole anticonformiste per l’epoca, la crisi del maschio. Era il 1976 e l’occasione capitava a fagiolo perché quell’anno usciva uno dei suoi film più coraggiosi, “L’ultima donna”, una storia che aveva come interprete, nel ruolo di protagonista, l’attore Gerard Depardieu e che si chiudeva con una scena di autoevirazione, simbolo di un maschio che rinunciava a un potere che aveva già perso.

In questi giorni italiani, dove è tutto un gran discutere di ddl Zan, di libertà dei propri gusti sessuali, di diritti e di censure, quel film crudo di Ferreri meriterebbe d’esser rivisto. È vero, da allora è trascorso molto tempo e siamo nel 2021, un periodo nel quale l’uomo oltreché dalle proprie inclinazioni è surclassato dalla tecnologia. Una trasformazione quotidiana che sta cambiando tutte le attività umane: dal lavoro alla politica, passando per il tempo libero.

Una mutazione che ha ribaltato anche il rapporto dell’uomo con sé stesso, con il mondo e con le donne.

All’epoca dell’uscita del film, Ferreri spiegava: «Prima c’era l’imperatore, che aveva il bastone di comando e il membro. Gli altri uomini non avevano il bastone, però, gli dicevano, hai il membro. La donna non ce l’ha, quindi è ancora meno di te. Adesso viene fuori che alla donna non gliene importa niente se ce l’ha o no. In ogni caso rifiuta il potere del maschio in virtù del fatto che è portatore di questo membro. E ha ragione. Io non so come è nato questo errore, questa pretesa superiorità. Forse perché la famiglia si sarebbe retta meglio se comandava l’uomo».

Oggi, con l’uomo e la famiglia in piena crisi culturale e di ruolo, insistere nell’attacco alla figura maschile – tradizionale, eterosessuale, anche banale – non ha più il sapore dell’anticonformismo, come ai tempi di Marco Ferreri, ma semmai del suo contrario. Si tratta – e la polemica politica sul ddl Zan ne fornisce a modo suo una rappresentazione – non di fare battaglie ideologiche contro feticci già sconfitti dal tempo (come il machismo) ma piuttosto di trovare una nuova dimensione alla contemporaneità, con le sue complessità. Senza farne una questione di guelfi e ghibellini, con le ragioni da una parte e i torti tutti da un’altra. Il mondo è più complesso.

Se ne era accorto Ferreri quando, fuor da polemiche politiche, aveva colto la trasformazione che stava accompagnando il mutamento del mondo: «L’uomo – annotava – come la bandiera è una costruzione fatta di concetti, nei secoli. Le ragioni che hanno portato a costruirlo così sono in un certo senso estranee all’uomo; sono ragioni politiche, di potere. Comunque, lui si era abituato a essere questa costruzione, ad assolvere a quelle funzioni.

Ora si accorge di non significare più niente, di essere come una vecchia macchina industriale di uno o due secoli fa. Non serve più». Una diagnosi impietosa che si accompagna a uno scoramento per i tempi che stiamo vivendo: non è bastato demolire il maschio per rendere il mondo un posto migliore.

 

Di Massimiliano Lenzi

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