Solo poche settimane fa, avremmo messo le bandiere alle finestre. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato ieri sera la fine dello stato d’emergenza il 31 marzo e la ferma intenzione di “riaprire tutto“. Questa mattina, ci siamo svegliati con la guerra sul suolo europeo. Scatenata all’alba dal ricattatore energetico Vladimir Putin. L’ultima maschera è caduta ed è rimasto il volto tragico dell’uomo che troppi europei – e americani, rileggete Trump… – non hanno capito, divenendone i suoi ‘utili idioti’ (la definizione con cui i sovietici definivano i loro più fervidi sostenitori in Occidente, in realtà pedine dei loro giochi). La certificazione del quasi-ritorno alla normalità, passando dalla convivenza con il virus, finisce per essere accolta con distrazione e indifferenza. Niente più zone a colori, niente più chiusure, forse abbastanza presto niente più Green Pass da mostrare, eppure le parole che avevamo sognato finiscono per diventare una parentesi fra gli aggiornamenti della crisi (guerra) russo-ucraina e l’incredulità per una strategia russa che sembra aver dimenticato ogni parvenza di lucidità ed equilibrio. Nel giorno in cui la luce in fondo al tunnel diventa un faro, molti italiani quasi non la vedono. Rabbuiati come logico e giusto da una vicenda che potrebbe ridefinire gli equilibri del nostro mondo. Viverlo così non ce lo saremmo mai aspettato, l’ultima beffa (speriamo) di una maledizione chiamata Coronavirus. L’urgenza e l’imperativo ora, però, sono quelli di saper contenere un uomo indecifrabile e gelido, per cui vale la pena ricordare il giudizio del futuro presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, dopo il suo primo colloquio con Vladimir Putin: “l’ho guardata negli occhi, signor Presidente, e non ho visto un’anima“. di Fulvio Giuliani
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