Da settimane serpeggia la domanda che condizionerà il funzionamento della nostra Repubblica nei prossimi anni. Perché dalla scelta del capo dello Stato dipenderà anche chi sarà il prossimo presidente del Consiglio e quando si voterà per il prossimo Parlamento.
Innanzitutto si vota da metà gennaio, perché il seggio presidenziale va convocato 30 giorni prima della scadenza del presidente in carica. I grandi elettori saranno 1.008, vale a dire 630 deputati, 320 senatori e 58 delegati regionali. Per eleggere il presidente della Repubblica si vota a scrutinio segreto e questo è un elemento decisivo, perché nel segreto dell’urna tanti candidati presidenti non sono riusciti a superare il quorum, basti pensare a Prodi o a Marini, per restare a casi recenti. Perché sì, c’è anche il quorum. Nelle prime tre votazioni servono i tre quinti dei voti: cioè 703 elettori su 1.008. Dalla quarta votazione la soglia è invece quella della maggioranza assoluta: 505 elettori su 1.008.
Ma immaginate che disfatta sarebbe avere un Draghi candidato ma che non raggiunge il quorum. Perderebbe ogni autorevolezza, anche come presidente del Consiglio. Non a caso nel 1946, quando si doveva eleggere il capo provvisorio dello Stato, personaggi del calibro di Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando rifiutarono la candidatura per non sottoporsi alle forche caudine del voto segreto.
Con Draghi al Quirinale probabilmente si voterebbe comunque a marzo 2023, con un altro anno di governo ‘tecnico’ guidato da un presidente del Consiglio indicato dallo stesso Draghi. Se invece salta questo schema, si aprono scenari poco prevedibili nei quali torna in gioco anche la conferma di Mattarella, che a oggi pare fermamente deciso a non accettare una ricandidatura. Del resto, quest’ultima non è del tutto costituzionalmente corretta, anche perché quella di Napolitano fu davvero una eccezione.
Quindi, chi sarà il prossimo presidente della Repubblica?
Di Alfonso Celotto
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