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In Bosnia Erzegovina torna la minaccia separatista

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In Bosnia Erzegovina torna la minaccia separatista

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In Bosnia Erzegovina torna la minaccia separatista

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L’allarme è stato lanciato dal tedesco Christian Schmidt, Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, l’autorità istituita come garante degli accordi di pace sottoscritti a Dayton nel 1995. Questi definirono una complessa architettura istituzionale del Paese, sancendo ufficialmente la presenza di due entità distinte: la Federazione croato-musulmana con il 51% del territorio bosniaco e la Repubblica Srpska, di maggioranza serba, che occupa il restante 49%. Dotate di autonomia in molti settori, anche in alcune componenti della polizia, hanno una cornice statale unitaria, con una presidenza collegiale tripartita nella quale un serbo, un croato e un musulmano si alternano ogni otto mesi nella carica di presidente.
Ma a inizio novembre Schmidt ha presentato un rapporto alle Nazioni Unite in cui ha denunciato le spinte dei separatisti serbi della Repubblica Srpska, che vogliono appropriarsi di alcuni poteri centrali in importanti settori della sicurezza, delle agenzie delle entrate e del controllo dei medicinali. E una esplicita minaccia è stata considerata lo scorso mese una serie di esercitazioni antiterrorismo svolte dalla polizia serbo-bosniaca sul monte Jahorina, la simbolica postazione da cui le forze serbe lanciarono il bombardamento su Sarajevo nell’assedio del 1992-95.

L’uomo della discordia è stato indicato in Milorad Dodik, il membro serbo della presidenza della Bosnia Erzegovina e leader del partito dei serbo-bosniaci (Snsd, Partito dei socialdemocratici indipendenti).

Dodik non si è fatto scrupolo di richiedere l’uso del cirillico nelle istituzioni e di promuovere una forza militare serba, annunciando che avrebbe costretto l’esercito bosniaco a ritirarsi dalla Repubblica Srpska. Avrebbe persino minacciato di assediare le caserme e, in caso di intervento dell’Occidente, di rivolgersi agli ‘amici’ sostenitori della causa serba: un chiaro riferimento non tanto alla madre Serbia, quanto alla Russia.

L’ondata nazionalista promossa da Dodik era iniziata già con il precedente Alto rappresentante, l’austriaco Valentin Inzko, costretto a dimettersi dopo avere vietato il negazionismo sul genocidio di Srebrenica del 1995 sostenuto dallo stesso Dodik.

E il leader serbo ha soffiato sul fuoco della deriva nazionalista, sfruttando l’appoggio di Mosca – che si era opposta da subito alla nomina di un nuovo Alto rappresentante – e anche degli altri campioni del nazionalismo europeo: l’ungherese Orban e lo sloveno Janez Janša. Sta di fatto che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel rinnovare all’unanimità il mandato dei 600 militari della missione Eufor presente in Bosnia, ha omesso qualsiasi riferimento alla denuncia di Schmidt per evitare un possibile veto russo o cinese.

Eppure la questione sembra tutta da chiarire. Alcuni analisti riferiscono dell’attenzione della diplomazia e degli apparati di intelligence degli Stati Uniti sui reali propositi di Dodik.

Il portavoce di Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, ha dichiarato che la situazione in Bosnia è «fonte di grande preoccupazione per l’Unione europea». Ma, intanto, a cantare vittoria sembra essere ancora lo stesso Dodik, che ha già annunciato più di un centinaio di atti legislativi per costituire le nuove istituzioni dei serbi separatisti.   Di Maurizio Delli Santi

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