Il trentacinquenne Gabriel Boric è stato eletto nuovo presidente del Cile dopo aver vinto il ballottaggio con il 55,8% dei voti ma il Parlamento resta diviso. Boric è appoggiato da una minoranza parlamentare.
«Sarò il presidente di tutti i cileni e di tutte le cilene», ha promesso Gabriel Boric dopo aver vinto il ballottaggio con il 55,8% dei voti. «Il vincitore merita tutto il nostro rispetto», ha risposto José Antonio Kast dopo essersi recato in visita da lui per fargli personalmente le felicitazioni.
Trentacinquenne (l’età minima richiesta per candidarsi), figlio di un ingegnere chimico democristiano di origine croata e di una segretaria di origine spagnola, leader della protesta studentesca del 2011, Boric è esponente di una sinistra radicale distinta dai comunisti, ma con loro alleata. Secondo presidente millennial della regione dopo il controverso salvadoregno Nayib Bukele, la sua è un’altra vittoria di sinistra che giunge a ruota delle elezioni di Pedro Castillo alla presidenza del Perù e di Xiomara Castro a quella dell’Honduras. Non va però dimenticata la grave sconfitta, alle elezioni di mezzo termine, del governo di sinistra peronista dell’Argentina.
Insomma, è un momento in cui, in un’America Latina flagellata dal Covid, vince chiunque stia all’opposizione: a meno di non blindare il voto in senso autoritario, come hanno fatto Nicolás Maduro in Venezuela e Daniel Ortega in Nicaragua. Un contesto che favorisce anche una polarizzazione tra le opzioni più radicali, ma in un quadro frammentato: ora in Cile come già in Perù tra José Pedro Castilllo e Keiko Fujimori.
La differenza tra le polemiche di Lima e il fair play di Santiago illustra però bene la particolarità del caso cileno, oltre alla marcata distanza tra Kast e quei Trump e Bolsonaro cui era stato peraltro accostato in campagna elettorale. In diverse interviste aveva infatti condannato il tentativo di golpe di Capitol Hill, riconoscendo anche la «evoluzione centrista» di Boric. In Cile pesa ancora il ricordo della dura radicalizzazione politica durante la presidenza Allende (che portò poi al colpo di Stato del 1973) e la preoccupazione di tutti è quella del ripetersi di un simile scenario.
Un contesto importante, anche perché la notizia dell’elezione di Boric ha portato subito a un crollo della Borsa. Il programma economico e di riforme del nuovo presidente spaventa per le conseguenze che potrebbe determinare su un modello economico ineguale ma che comunque funziona bene da 35 anni. Ben trenta sono gli ‘assi centrali’ e quattro i ‘pilastri’ della proposta di Boric: si va da un “Piano di risanamento economico e strategia sanitaria” all’impegno per «sicurezza dei cittadini, prevenzione della criminalità e rifondazione della polizia»; tra le promesse vi sono un sussidio per occupazione e imprenditorialità femminile, investimenti per la transizione ecologica e asili nido gratis sotto i due anni ma anche un aumento delle tasse e la cessazione di quel sistema pensionistico gestito da fondi che in molti Paesi era stato considerato un modello.
In queste ore molti commentatori evitano di sottolineare un dato rilevante: Boric è un presidente appoggiato da una minoranza parlamentare. Nel Congresso cileno la coalizione che lo sostiene ha infatti appena 4 senatori su 27 e 37 deputati su 155 contro 8 senatori e 37 deputati del centro-sinistra, 12 senatori e 53 deputati della destra, un senatore e 15 deputati dell’alleanza di Kast, sei deputati del Partito della gente (che fa capo a Parisi, il candidato alla presidenza giunto terzo), tre di un’altra alleanza di sinistra, due verdi e un indipendente. Insomma, per il nuovo presidente saper trattare e aggregare sarà vitale.
di Maurizio Stefanini
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