La bimba con gli unicorni rosa
Mentre i russi avanzano, per chi è chiuso in un bunker i giorni iniziano ad assomigliarsi tutti. Come in un brutto film che si ripete identico. Solo che questa è la realtà.
La bimba con gli unicorni rosa
Mentre i russi avanzano, per chi è chiuso in un bunker i giorni iniziano ad assomigliarsi tutti. Come in un brutto film che si ripete identico. Solo che questa è la realtà.
La bimba con gli unicorni rosa
Mentre i russi avanzano, per chi è chiuso in un bunker i giorni iniziano ad assomigliarsi tutti. Come in un brutto film che si ripete identico. Solo che questa è la realtà.
Mentre i russi avanzano, per chi è chiuso in un bunker i giorni iniziano ad assomigliarsi tutti. Come in un brutto film che si ripete identico. Solo che questa è la realtà.
Non sappiamo come si chiamava, sappiamo però che amava gli unicorni e aveva un pigiamino rosa. A sei anni avrebbe dovuto pensare ai giocattoli e alle favole. Invece la sua casa è stata bombardata e lei è morta, nonostante i disperati tentativi dei medici di salvarla. «Fate vedere questa immagine a Putin» hanno urlato i medici che a Mariupol hanno tentato inutilmente di salvarla. La bimba dal pigiama con gli unicorni rosa è l’ennesima vittima innocente di questa guerra. Così come un ragazzo, che aveva perso le gambe combattendo nel Donbass. Grazie alle protesi e alla grande forza di volontà era riuscito a diventare un campione di crossfit. Non si è sottratto alla chiamata alle armi. Nonostante quello che gli era successo. Ed è morto, ucciso alle porte di Kiev nel disperato tentativo di fermare l’avanzata russa.
Sasha invece ha deciso di restare nella sua casa perché non voleva abbandonare i suoi animali. È stato il figlio a trovare il suo corpo. Natalia invece è un’artista, avrebbe dovuto esporre le sue opere nella capitale ucraina. Invece è rinchiusa con i suoi figli in un bunker. Il più piccolo di loro disegna la pace e la guerra. Non c’è più innocenza, non c’è più infanzia. Non ci sono più i giochi con i compagni di classe, le corse al parco. Solo il rumore delle bombe e la speranza di sopravvivere.
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Le strade deserte per il coprifuoco fanno da contrasto alle lunghe code di auto, vicine ai confini. E poi le macerie, i palazzi sventrati e le lacrime di chi racconta: «Abbiamo dovuto lasciare tutto, non abbiamo più nulla». E la vita che nasce, nonostante tutto, più forte di tutto: quella di due gemelli adagiati sul pavimento del seminterrato dell’ospedale di Kiev, trasformato in rifugio. Mentre a Kherson il reparto di ostetricia è diventato uno scantinato: è lì che le donne danno alla luce i loro bimbi. Su Telegram l’immagine di una cantina, una grande culla, dentro e intorno tanti bambini. Sono gli orfani di Kirovograd, quell’immagine l’hanno scattata le persone che gestiscono la struttura. Chiedono aiuto, coperte e medicinali per quei piccoli.
Al confine polacco invece nevica, chi è riuscito ad arrivare fin lì prova a scaldarsi accendendo dei fuochi. Si gela, eppure sui volti dei profughi spunta addirittura qualche sorriso, insieme alla consapevolezza di essere riusciti a fuggire dall’inferno. E su TikTok i soldati ucraini trovano persino la forza di sdrammatizzare: nei loro filmati c’è la musica a fare da sottofondo, i Nirvana che cantano “Smells like teen spirit”. Si resiste, come si può, nell’animo ancora prima che col fisico. Lo fa chi combatte, chi è nei rifugi e chi ha dovuto salutare i propri cari, partiti per un posto più sicuro. Mentre i russi avanzano, mentre si provano a imbastire trattative. Mentre i giorni, per chi è chiuso in un bunker, iniziano ad assomigliarsi tutti. Come in un brutto film che si ripete identico. Solo che questa è la realtà.
di Annalisa GrandiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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