La disfida dell’euro ha qualcosa di paradossale. Vladimir Putin urla alla luna e torna a pretendere che gli si paghi il gas in rubli, il giorno dopo la parziale retromarcia che gli osservatori occidentali hanno ricondotto alla dura (e coraggiosa) opposizione della governatrice della Banca centrale russa Nabiullina.
Il paradosso è che l’ennesima mossa illegale dello zar ha oggettivamente dato fiato alla valuta russa, ma potrebbe costargli ciò che i Paesi europei non erano mai stati disposti a mettere realmente sul tavolo, il blocco degli acquisti del gas e delle altre materie prime russe.
Davanti all’aut aut di Putin, Francia e Germania hanno dichiarato ieri a stretto giro di essere pronte a impugnare i contratti e a interrompere gli acquisti. L’Italia ha ribadito che si dovrà pagare in euro, come firmato e controfirmato.
Mascherata da difesa del rublo, insomma, siamo a un passo dalla battaglia finale, quella del gas. Il ricatto di Putin potrebbe portare allo stop di quel flusso quotidiano di denaro in valuta pregiata che per la Russia è ossigeno puro. Duole dirlo, anche per la sua guerra. Un gioco pericolosissimo, un bluff che Parigi, Berlino e Roma avranno il dovere di andare a “vedere”, non solo in punta di diritto, per capire dove sia realmente pronto a spingersi il dittatore di Mosca in questa specifica partita con gli europei.
La prospettiva è ovviamente da far tremare i polsi anche per noi francesi, tedeschi e italiani, ma non ci sono alternative: cedendo alla richiesta di pagare in rubli, si concederebbe la prima, vera vittoria di queste cinque settimane folli a Putin.
Un’ipotesi sanguinosa, che diventa il banco di prova di un’intera leadership europea.
di Fulvio Giuliani
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