L’Occidente prova a fidarsi di Erdoğan: un prezzo da pagare ma non a ogni costo. Toccherà guardare i fatti. Quelli, diversamente dalle chiacchiere, non mentono.
L’Italia nel 2021 è tornata a essere il primo partner commerciale della Libia, superando la Turchia (che lo è stata nel 2020, anno della pandemia) e la Cina (primo partner nel 2019), con un interscambio complessivo di 6,8 miliardi di euro, il 160% in più rispetto a quello del 2020. Una buona notizia e in questi tempi di conflitti ce n’è terribilmente bisogno, anche sei i numeri italiani del 2008, tre anni prima della guerra civile, sono lontani visto che all’epoca il nostro interscambio con la Libia superava i 17 miliardi di euro. Quando si parla di Tripoli e dintorni, il tassello economico non è però sufficiente a comprendere la situazione se non lo si accompagna almeno ad altri due elementi dello scacchiere globale: la situazione geopolitica e la guerra russa in Ucraina. Il filo dei rapporti internazionali e delle zone d’influenza, infatti, si interseca oggi da Kiev a Tripoli.
Giovedì, a margine del vertice Nato di Bruxelles, il nostro presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron hanno incontrato il leader turco Recep Tayyip Erdoğan. Al centro dei colloqui – cui ne seguiranno a breve altri, come ha fatto sapere lo stesso Draghi – la guerra in Ucraina e la situazione in Libia. Su entrambe le questioni, da diverse settimane il presidente turco prova a proporsi come mediatore e paciere: sull’Ucraina, sostenendo di avere ancora un canale diplomatico aperto con i russi pur essendo alla guida di un Paese della Nato; sulla Libia, dove la Turchia è presente con soldati e mercenari in una posizione pure contrastante con gli interessi italiani e francesi.
Ancora ieri il Consiglio di sicurezza nazionale turco ha invitato le parti interessate in Libia – dove ci sono di fatto due governi: quello di unità del premier Abdul Hamid Dbeibeh (riconosciuto dall’Onu) e quello di stabilità nazionale di Fathi Bashagha, designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e sostenuto dal generale Khalifa Haftar – ad astenersi da misure che potrebbero portare allo scoppio di nuovi scontri. Giorni fa la Turchia si era pure candidata (come sull’Ucraina, del resto) a ospitare colloqui di pace tra le due parti libiche, ma senza successo. Un attivismo internazionale e diplomatico, quello di Erdoğan, che rappresenta oggi il prezzo da pagare al dialogo possibile dopo la guerra scatenata da Putin in Ucraina, un’invasione che ha sbaragliato tutti i rapporti internazionali prima esistenti.
Un prezzo da pagare ma non a ogni costo. Per questo, per misurare quanto Italia e Francia si potranno fidare dei turchi sulla Libia così come l’Occidente tutto del nuovo Erdoğan che fa il paciere, toccherà guardare i fatti. Quelli, diversamente dalle chiacchiere, non mentono. Mai.
di Massimiliano Lenzi
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