Questi giorni di votazioni a vuoto e gossip casalingo hanno congelato il ruolo del nostro Paese in politica estera. Ora è arrivato il momento di tornare in pista: l’Italia insieme alla Francia può diventare il motore dell’Eu.
Dove eravamo rimasti? Trovata l’intesa sul presidente della Repubblica, con la convergenza sul nome di Sergio Mattarella, è ora che la politica rimetta in moto l’Italia riguardo al ruolo che gli spetta in politica estera. Questi giorni di votazioni a vuoto, di incontri, di annunci e di smentite ogni quarto d’ora, se da un lato hanno alimentato il gossip politico casalingo che tanto piace ai retroscenisti, dall’altro hanno congelato – per pochi giorni, fortunatamente, ma comunque congelato – il ruolo del nostro Paese. Considerando la nostra posizione geografica e i due principali fronti di crisi che il mondo di oggi sta vivendo, Ucraina a Est e Libia e Africa a Sud, l’Italia non può assopirsi oltre.
Cominciamo dalla Libia. Dopo l’impegno preso dal governo Draghi assieme alla Francia di Macron per lo svolgimento delle elezioni in Libia, e considerando che queste sono saltate nel dicembre scorso, si tratta di ricominciare a lavorare di diplomazia. Italia e Francia non dovrebbero mollare la loro intesa e proseguire in questa iniziativa avviata nel 2021, tenendo conto del crocevia di trappole e di interessi che si incrociano in territorio libico dove i turchi e i russi (oltre ovviamente ai libici fortemente divisi al loro interno) vogliono dire la loro e pesare. La questione della Libia pacificata e portata a votare si accompagna ovviamente al tema del Mediterraneo e dei suoi equilibri, compreso l’eterno dramma dell’immigrazione – spesso verso l’Italia – che parte dalle coste africane. Per questo la nostra politica estera verso la Libia riguarda l’Unione europea e non soltanto noi e la Francia. Ci auguriamo che Mario Draghi, il cui posto a Palazzo Chigi è confermato, si metta con il proprio governo subito a lavorare al rilancio di una iniziativa italiana in Libia e nel Mediterraneo.
Spostandoci poi da Sud verso Est, arriviamo a un altro fronte caldo della politica estera di questo inizio 2022: la crisi ucraina e le pressioni russe sui suoi confini. Su questo si è mosso, con una certa prontezza, il presidente francese Emmanuel Macron con l’obbiettivo di evitare conflitti in Europa e nella speranza di ripartire dagli accordi di Minsk ottenuti dopo gli incontri quadrilaterali tra Francia, Germania, Ucraina e Russia nel 2014-15. L’Italia, vicinissima geograficamente alla Libia, è assai più distante dall’Ucraina ma questo non toglie che se ne debba occupare, visto che di rimbalzo le sorti di Kiev riguardano anche i nostri rapporti con la Russia. In queste ore – mentre il presidente Usa Joe Biden e la Nato puntano sulla linea dura, annunciando sanzioni economiche durissime in caso di invasione russa e inviando soldati e armi sul fronte orientale – Macron media per evitare lo scoppio d’una guerra. Ebbene, l’Italia può avere un suo ruolo in questo lavoro di mediazione, considerando anche l’invito a recarsi a Mosca fatto, non molto tempo fa, dal presidente russo Vladimir Putin al presidente del Consiglio Mario Draghi.
Lo ribadiamo: dopo lo stallo dovuto al voto per il Quirinale, si tratta di rimettere in moto l’Italia sulla scena internazionale. Una scena dove non può mancare il peso dell’Unione europea. Con la Germania orfana della Merkel e sicuramente meno centrale – attraversata com’è dalle divisioni nel suo nuovo governo di centrosinistra (composto da socialdemocratici, verdi e liberali) – l’Italia assieme alla Francia può diventare il motore Ue. Il prestigio di Mario Draghi, riconosciuto a Bruxelles e non solo, è certamente un aiuto e il resto lo dovrà fare la politica. Oltre a quelle già descritte, in ballo ci sono altre sfide importanti per il presente e per il futuro: dalla questione energetica ai nuovi trattati comunitari, dall’economia che si rilancia, dopo i due anni di ko dovuti alla pandemia, ai nuovi equilibri globali. Sfide strategiche e ineludibili di cui l’Italia deve essere consapevole, tenendo magari a mente una frase cara a Sir Winston Churchill, un uomo che di politica (estera e non) s’intendeva: «Il governo del mondo deve essere affidato a nazioni soddisfatte, che per sé stesse non vogliano più di quanto già hanno. Se il governo del mondo si trovasse nelle mani di nazioni affamate, saremmo sempre in pericolo. Ma nessuno di noi ha alcun motivo per cercare qualcosa di più. La pace sarà mantenuta da popoli che vivranno a modo loro, senza alcuna ambizione». O meglio, senza ambizioni guerrafondaie.
di Massimiliano Lenzi
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