Hanno perso tutti fragorosamente, ma nessuno ha consapevolmente distrutto la propria “faccia“ come Novak Djokovic. Il finale di questa lunga farsa era ormai scontato – con l’espulsione del giocatore, costretto a lasciare il territorio australiano – considerato che difficilmente il governo avrebbe accettato di alzare bandiera bianca, dopo aver messo in gioco tutto il peso della propria autorità per ribadire l’inconsistenza della posizione del N.1 del tennis mondiale.
Nole, da parte sua, ha giocato una partita incomprensibile e sconfortante, convinto di poter aggirare leggi e regolamenti in virtù del suo nome, del suo peso specifico e della volontà degli organizzatori degli Open di inserirlo a tutti costi in tabellone.
Un calcolo sbagliato all’origine, che sarebbe bastato fare con un pizzico di modestia in più e banale onestà intellettuale.
Senza affidarsi, se possibile, ad una corte dei miracoli che fra Melbourne e la Serbia ne ha combinate di tutti colori. Il rischio per Djokovic, ora, è di aver chiuso per sempre il rapporto con l’Australia (e addio al sogno del Grande Slam, qualora gli venga impedito di giocarvi in futuro), se verrà applicata la regola per cui a un cittadino straniero espulso è vietato rientrare nel Paese per tre anni. Un periodo lunghissimo all’età agonistica del campione serbo.
Tutto questo, non dimentichiamolo mai, per mantenere il punto su una scelta no vax legittima sul piano personale, ma del tutto insostenibile considerato il ruolo ricoperto dal più forte giocatore al mondo. Un simbolo globale che non avrebbe mai dovuto permettersi una simile sceneggiata, destinata a macchiare la sua immagine per sempre.
Per tacere del tennis, gestito come un circolo privato alla Marchese del Grillo (Panatta dixit).
di Fulvio Giuliani
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