Il personaggio di Massimo Ferrero lo conosciamo bene. Ma non c’entra nulla con la giustizia. I reati a lui contestati sono gravi e le indagini avrebbero dovuto concludersi con l’arresto, non iniziare da quello.
Personaggio conosciuto da tutti lo è diventato con l’ingresso nel mondo del calcio. Quello gli ha aperto gli schermi delle connesse trasmissioni televisive, che ha frequentato con estro e una buona dose di provocazione. L’imitazione di Crozza ne ha consacrato la popolarità, come sempre accompagnata da amatori e detestatori. Il soprannome non gli piace, sicché lo lasciamo da parte. Tutto questo è il personaggio Massimo Ferrero, ma tutto questo non c’entra nulla con la giustizia.
I reati contestati sono gravi. Non solo per il potenziale danno penale che può derivargliene. Sono gravi perché quel tipo di reati, ove realmente commessi, distorcono il mercato, lo sporcano, alla lunga – se si diffondono – lo rendono invivibile alle persone e alle imprese per bene. Sono reati gravissimi perché corrompono la vita economica. Ragione per cui non soltanto le pene potenziali sono elevate, ma più che giustificate. Siamo convinti che non è l’entità della pena a sconsigliare il reato, secondo l’insegnamento di Cesare Beccaria, ma sappiamo anche che dove il capitalismo funziona bene quelle pene sono anche più alte. Ed effettivamente scontate, in caso di condanna.
Non conosciamo le carte, ma il dubbio ci coglie sulla custodia cautelare. Quei reati sono per larga parte documentali: si acquisiscono bilanci e contabilità e si va davanti a un giudice. Gli indagati, se interessati a concertare o inquinare, hanno già avuto modo di farlo. Le indagini migliori si concludono con l’arresto, non con quello cominciano.
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