Le immagini contano, come le parole. Immagini che restano. I tre leader europei, i premier di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, arrivati in treno a Kiev sotto assedio non sono tanto una manifestazione di coraggio personale (che pure non va mai sottovalutato), ma soprattutto uno schiaffo alla tracotanza e alla protervia del dittatore di Mosca.
Sono Paesi europei accorsi per un vertice di guerra con il presidente ucraino Zelensky, Paesi che sanno bene cosa significhi essere sotto il tacco sovietico, pardon russo. La Polonia e la Repubblica Ceca in modo particolare, nazioni e popoli animati da un’antica diffidenza storica nei confronti di Mosca, per usare un eufemismo. Non cambieranno la storia di questo conflitto, non lo risolveranno, perché la via della mediazione non passa da Praga, Lubiana o Varsavia. Come non passa dall’Unione europea e dagli Stati Uniti nel ruolo di mediatori , per il motivo – lo abbiamo più volte scritto – che l’Occidente non è equidistante. L’Occidente sta con l’Ucraina, pur chiarendo in tutte le forme possibili di non voler essere coinvolto in un conflitto armato con Putin.
La mediazione toccherà ad altri e non torniamo sul punto, ma l’Europa che si presenta sotto i missili di Putin è un’Europa su cui contare. Pur con tutti gli umanissimi dubbi e timori, che lo Zar farebbe bene a non scambiare per pavidità. È uno dei tanti calcoli sbagliati dal dittatore.
Le sue di immagini, invece, continuano a demolirlo agli occhi del mondo: la coraggiosa giornalista contestatrice comparsa in diretta a Mosca con un cartello di contestazione della guerra, ma anche il sanguinario e impresentabile leader ceceno Kadyrov che aveva fatto sapere di essere in Ucraina per “finire“ il nemico di Putin. In realtà, ricomparso 24 ore dopo a casa sua, in una sceneggiata tanto atroce quanto imbarazzante. Le immagini delle vittime civili, poi, che ci tormentano e costituiscono già oggi base di lavoro per i procuratori internazionali incaricati di verificare la sussistenza delle accuse di crimini di guerra a carico di Putin. I giornalisti caduti per raccontare la guerra.
Ci vorrà tempo, per tutto: diplomazia, trattative, la fine di questo conflitto illegale e insensato, ma di una cosa il dittatore può esser certo, la storia non si ferma e non torna indietro.
di Fulvio Giuliani
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