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L’evidenza dell’orrore

La strategia di Putin si è sempre basata nel negare o nascondere la verità sui massacri e uccisioni dei civili. Ora più che mai, dopo le terribili immagini satellitari di Bucha, negare l’evidenza è diventato impossibile.

L’evidenza dell’orrore

La strategia di Putin si è sempre basata nel negare o nascondere la verità sui massacri e uccisioni dei civili. Ora più che mai, dopo le terribili immagini satellitari di Bucha, negare l’evidenza è diventato impossibile.

L’evidenza dell’orrore

La strategia di Putin si è sempre basata nel negare o nascondere la verità sui massacri e uccisioni dei civili. Ora più che mai, dopo le terribili immagini satellitari di Bucha, negare l’evidenza è diventato impossibile.
La strategia di Putin si è sempre basata nel negare o nascondere la verità sui massacri e uccisioni dei civili. Ora più che mai, dopo le terribili immagini satellitari di Bucha, negare l’evidenza è diventato impossibile.
Lo accusano di non aver denunciato subito il massacro e che questo proverebbe che quei morti sono soltanto una messinscena, che quelle scene atroci non sono vere. Il sindaco di Bucha, invece, quello che i russi stavano facendo nella sua città lo aveva descritto già prima che i militari si ritirassero. Non bastasse, ci sono le foto satellitari a mostrare cadaveri ma anche fossati, trasformati poi in fosse comuni, scavati già un mese fa. La strategia di Putin è stata sempre quella di negare i massacri, negare le uccisioni dei civili. Quello che abbiamo visto negli ultimi giorni lo inchioda di fatto alle sue responsabilità. E non solo lui, perché è possibile che, al di là degli ordini ricevuti, quello che è accaduto sia frutto anche delle scelte deliberate di coloro che si trovavano sul campo. «Ci hanno uccisi per rabbia o per divertimento, come in un safari. Sparavano a ogni cosa che si muovesse» ha raccontato lo stesso primo cittadino di Bucha, lasciando intendere come i militari si siano trasformati in boia anche perché di fatto incapaci di portare avanti un’avanzata che doveva essere trionfale. Si sono invece infranti contro la strenua resistenza della popolazione ucraina. Davanti all’impossibilità di piegare i soldati nemici, i russi hanno iniziato a massacrare chiunque. Le immagini di quei cadaveri con le braccia legate dietro la schiena, la testa incappucciata, ci fanno venire in mente il modo in cui uccidono i terroristi. Si chiamano esecuzioni. E sono state perpetrate nei confronti di uomini, donne e bambini. Non faceva per loro alcuna differenza, a quanto pare contava soltanto lasciare dietro di sé morte e distruzione. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “IL DOLORE DELLA GUERRA” La brigata che si è distinta in questo massacro, e che nelle scorse ore era stata ritirata dall’Ucraina, tornerà in prima linea. Significa che questi criminali sono per Putin uno strumento prezioso. E soprattutto che i russi non intendono fermarsi, nonostante le condanne dell’opinione pubblica occidentale e le richieste di processare Putin e i suoi gerarchi per crimini contro l’umanità. Occorre ancora una volta ringraziare chi è rimasto in Ucraina per documentare questa tragedia. Ci permette di non avere dubbi, se mai ce ne fossero stati nelle scorse settimane. Nel frattempo sembra che all’orrore non ci sia un limite: un difensore civico ucraino denuncia anche casi di torture su bambini. È terribile anche soltanto scriverlo ma va fatto, va detto e ripetuto. A Irpin sarebbero stati ritrovati i corpi di bimbi di meno di dieci anni stuprati, torturati e uccisi. La guerra è sempre atroce ma quello che stiamo raccontando in queste settimane va oltre l’immaginabile. E questo è quello che sappiamo, perché ci sono invece città come Mariupol dove ancora non è chiaro quanti morti ci siano e in quale modo le persone siano state uccise. Se fino al bombardamento del teatro chi sosteneva fantasiose tesi complottiste poteva farsi forte dell’assenza di documenti fotografici a provare le stragi, oggi continuare a propinarle significa ignorare l’evidenza. Un’evidenza fatta di migliaia di persone trucidate nei modi più barbari e senza una ragione.   di Annalisa Grandi

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