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Lo scambio

“[…] L’idea di concentrare sulle aliquote Irpef i (pochi) soldi utilizzabili per l’alleggerimento fiscale è non solo corretta, ma promettente. Prefigura un possibile scambio virtuoso, in opportuna coincidenza con i giusti rilievi della Commissione europea alla legge di bilancio: se la si pianta di trovare un buon motivo appresso all’altro per far crescere la spesa corrente si potranno trovare i margini per far decrescere la pressione fiscale.” Il commento di Davide Giacalone
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Lo scambio

“[…] L’idea di concentrare sulle aliquote Irpef i (pochi) soldi utilizzabili per l’alleggerimento fiscale è non solo corretta, ma promettente. Prefigura un possibile scambio virtuoso, in opportuna coincidenza con i giusti rilievi della Commissione europea alla legge di bilancio: se la si pianta di trovare un buon motivo appresso all’altro per far crescere la spesa corrente si potranno trovare i margini per far decrescere la pressione fiscale.” Il commento di Davide Giacalone
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Lo scambio

“[…] L’idea di concentrare sulle aliquote Irpef i (pochi) soldi utilizzabili per l’alleggerimento fiscale è non solo corretta, ma promettente. Prefigura un possibile scambio virtuoso, in opportuna coincidenza con i giusti rilievi della Commissione europea alla legge di bilancio: se la si pianta di trovare un buon motivo appresso all’altro per far crescere la spesa corrente si potranno trovare i margini per far decrescere la pressione fiscale.” Il commento di Davide Giacalone
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“[…] L’idea di concentrare sulle aliquote Irpef i (pochi) soldi utilizzabili per l’alleggerimento fiscale è non solo corretta, ma promettente. Prefigura un possibile scambio virtuoso, in opportuna coincidenza con i giusti rilievi della Commissione europea alla legge di bilancio: se la si pianta di trovare un buon motivo appresso all’altro per far crescere la spesa corrente si potranno trovare i margini per far decrescere la pressione fiscale.” Il commento di Davide Giacalone
  I sindacati dei lavoratori e quelli datoriali hanno un bel protestare, ma l’idea di concentrare sulle aliquote Irpef i (pochi) soldi utilizzabili per l’alleggerimento fiscale è non solo corretta, ma promettente. Prefigura un possibile scambio virtuoso, in opportuna coincidenza con i giusti rilievi della Commissione europea alla legge di bilancio: se la si pianta di trovare un buon motivo appresso all’altro per far crescere la spesa corrente si potranno trovare i margini per far decrescere la pressione fiscale. Il che porta con sé un importante valore di giustizia sociale. Nell’ipotesi resa nota l’aliquota più bassa, oggi al 23% per i redditi fino a 15mila euro l’anno, resterebbe ferma. Qualcuno potrebbe dedurne che non c’è alcun beneficio per i più poveri. Ma sarebbe obiezione fuori dalla realtà: sotto i 7mila 500 euro l’anno si trovano poco meno di 10 milioni di contribuenti, quasi il 24% del totale, che versano in media 32 euro l’anno; fra questi e i 15mila ci sono altri 8milioni 273mila contribuenti, il 20% del totale, che versano 463 euro l’anno, salvo le detrazioni. Tutti assieme fanno più del 43% dei contribuenti e versano il 2,4% del gettito Irpef totale. Difficile andare loro incontro, considerato anche che a quei livelli si sommano diversi contributi e facilitazioni e non dimenticando che la spesa pubblica pro capite, per la sola sanità, ammonta a 1.890 euro. Se allarghiamo di poco la griglia, entrando nello scaglione successivo, si arriva alla seguente situazione: il 60% versa in tutto 15 miliardi per l’Irpef e ne riceve più di 50 per la sanità, 70 per l’assistenza sociale e 54 per l’istruzione. Da 25-30mila euro l’anno in su una minoranza di italiani paga per tutti. Togliendo due punti, dal 27% al 25%, allo scaglione 15-28mila euro l’anno, e tre, dal 38% al 35%, per lo scaglione 28-50mila, non è che si rivoluzioni questo stato di cose, ma si indica una direzione di marcia, oltre ad avere adottato il pragmatismo al posto della retorica demagogica: lo sgravio si può farlo a chi paga, non a chi incassa. L’alleggerimento è troppo lieve, benché sia il massimo che possiamo permetterci, ma ha anche un significato politico: chi paga per tutti si renda conto che non è neanche una questione di colore politico, ma di scolorimento etico, perché anziché plaudire chi propone altre spese sarebbe il caso di sostenere chi propone lo scambio del minore prelievo. E da questo punto di vista c’è un ulteriore segnale da cogliere. La Cassa depositi e prestiti, forte di 25 miliardi di patrimonio netto, 275 di raccolta postale e 21 di raccolta obbligazionaria, era divenuto uno strumento per allargare il potere della politica e il perimetro dello Stato, acquisendo partecipazioni anche a casaccio (parlando di Tim ne abbiamo mostrati alcuni aspetti orridi); ora il nuovo amministratore delegato, Dario Scannapieco, ha presentato il piano strategico 2022-2024 e la musica sembra cambiare. Ci si è ricordati che nel nome ci sono i ‘prestiti’, non le partecipazioni industriali. Se si pone un freno a quella che pretendeva d’essere la nuova Iri e si trova a un passo dall’essere la nuova Gepi, è solo che un bene. Potremmo considerarlo parte dello scambio: più soldi alla produzione e meno al sostegno dei bolliti, quale premessa per ridimensionare la spesa corrente e rendere possibile la discesa fiscale. Ma, per funzionare, ha bisogno di una cosa che manca: che gli interessati siano consapevoli, attivi e rappresentati, perché la democrazia non può essere delegata in altre mani. Non più di tanto. Il tema della rappresentanza democratica non è mica solo quello degli egolatri che vogliono farsi votare, ma anche quello degli interessi che vogliono farsi valere. Alla fine il risultato non cambia: un Paese ha il governo che si merita. Quello in carica è retto da trasformisti, il contenuto della sua azione bisogna ancora meritarselo.   di Davide Giacalone

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