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Non dividersi

L’Occidente mostra una divaricazione per la prima volta dallo scoppio della guerra: da un lato le posizioni di Stati Uniti e Gran Bretagna e dall’altro Francia e Germania.
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L’Occidente mostra una divaricazione per la prima volta dallo scoppio della guerra: da un lato le posizioni di Stati Uniti e Gran Bretagna e dall’altro Francia e Germania.
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L’Occidente mostra una divaricazione per la prima volta dallo scoppio della guerra: da un lato le posizioni di Stati Uniti e Gran Bretagna e dall’altro Francia e Germania.
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L’Occidente mostra una divaricazione per la prima volta dallo scoppio della guerra: da un lato le posizioni di Stati Uniti e Gran Bretagna e dall’altro Francia e Germania.
Pochi fatti possono smentire in modo più clamoroso la strategia che ha spinto Vladimir Putin alla sua guerra d’aggressione contro l’Ucraina della corsa di Svezia e Finlandia verso la Nato. Una corsa – non un avvicinamento progressivo – di due Paesi storicamente neutrali o ‘equidistanti’, come amano ripetere i pacifisti unilaterali di casa nostra. Due governi, ma soprattutto due popoli che non vedono l’ora di trovare protezione sotto l’ombrello dell’Alleanza Atlantica, approdando curiosamente alla medesima conclusione che fu del segretario del Partito comunista italiano Enrico Berlinguer nei primi anni Settanta e che sconvolse i padri e i fratelli maggiori dei putinisti di oggi. Helsinki e Stoccolma vogliono la Nato «per non fare la fine dell’Ucraina», una sintesi lucida e spietata del fallimento storico e dell’eredità di Putin al suo Paese. Una mossa completamente imprevista da Mosca, che oggi spinge la cricca del dittatore a muovere le truppe verso il confine con la Finlandia – a teorizzarlo è l’ex premier Medvedev, fido vice dello zar – in una mossa che ricorda la politica estera della prima metà del XX secolo. Epigoni del Mussolini pronto a mobilitare (vanamente) le divisioni al Brennero per far paura a Hitler. Sappiamo con quali esiti per l’Austria. L’Occidente che mette a segno un clamoroso punto a suo favore, paradossalmente grazie alla politica d’aggressione di Putin, mostra però per la prima volta dallo scoppio della guerra una divaricazione fra le posizioni di Stati Uniti e Gran Bretagna da un lato e Francia e Germania dall’altro. Realtà che non conviene far finta di non vedere: Londra e Washington spingono per armare sempre più velocemente e con più forza Kiev, mentre Parigi e Berlino traccheggiano. Per motivazioni non perfettamente sovrapponibili, sia chiaro, Macron e Scholz hanno cominciato a tirare il freno e a distinguere sul lessico usato da Biden, creando una distanza che il presidente ucraino Zelensky non ha mancato di rimarcare con l’abilità oratoria e mediatica che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare. Proprio lui, peraltro, ha finito per ampliare questa forbice nel cuore dell’Ovest con il grave errore – da noi subito sottolineato – di aver messo all’indice il presidente tedesco Steinmeier per posizioni pro-Russia tanto superate quanto pubblicamente rinnegate. Uno sbaglio da sanare al più presto, da parte sia ucraina che tedesca. Perché anche il neo cancelliere farebbe bene a non cavalcarlo con troppo entusiasmo, pur di coprire le evidenti frizioni nella sua maggioranza proprio sul tema delle forniture di armi a Kiev. Tornando alla Francia, mancano nove giorni al ballottaggio che attende Macron, mentre la sua avversaria Le Pen ha annunciato ieri, in caso di sua vittoria, l’addio francese al comando integrato della Nato nonché «il necessario riavvicinamento alla Russia». Musica per Putin, come qualsiasi spaccatura in quell’Occidente che fin qui ha dato straordinaria prova di compattezza. Il destino delle democrazie, del resto, è quello di dover confermare giorno dopo giorno la difesa dei propri valori e la bontà delle proprie scelte. Da questa parte del mondo non c’è uno che decida per tutti come a Mosca e ciò comporta un surplus di responsabilità per ciascun leader e rappresentante politico. Non scontato. L’Italia, per esempio, si sta muovendo con sorprendente velocità sul piano delle forniture di gas, mostrandosi più dinamica della stessa Germania. Merito che va riconosciuto al presidente del Consiglio e che potrebbe consentirci presto un ventaglio di manovre superiore a quello di alcuni nostri partner. Eppure mercoledì, in occasione del collegamento con le commissioni Diritti umani, Femminicidio e Antidiscriminazioni del Senato della vice premier Ucraina Olha Stefanishyna – impegnata a descrivere gli orrori subìti per mano russa dalle donne del suo Paese – un componente su tre delle commissioni aveva di meglio da fare e non si è presentato. A ricordarci quanto consapevolezza e responsabilità non siano per nulla scontate, tanto per cominciare a casa nostra.   di Fulvio Giuliani

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