Le manifestazioni nelle diverse città russe parlano chiaro: un popolo non viene definito dal proprio leader. Questo accende la speranza che anche in Russia sia possibile far germogliare la pianta della democrazia e del rispetto dei diritti civili.
La Russia non è Putin. Putin non è la Russia. Ce lo hanno ricordato, evitando di farci cadere nell’umana e tragica confusione fra un leader fuori controllo e un intero popolo, le migliaia di persone scese in piazza in diverse città russe per dire No alla guerra e all’aggressione all’Ucraina.
Mosca, San Pietroburgo, ma anche centri remoti come la siberiana Novosibirsk. Migliaia di persone che valgono centinaia di migliaia, perché non è facile manifestare pubblicamente contro il dittatore se in tasca hai il passaporto russo. Se la polizia politica – già, in Russia esiste ancora la polizia politica – intima di non presentarsi alle manifestazioni di protesta. Se sai molto bene come finiscano gli oppositori del capo del Cremlino.
Con il dovuto rispetto, scendere in piazza oggi all’ombra del Palazzo d’inverno è una cosa profondamente diversa che piazzarsi davanti all’ambasciata russa a Washington, Roma o Londra. C’è molto di più dell’umana vicinanza e dell’assoluta simpatia per queste donne e questi uomini: il barlume di speranza che anche in Russia sia possibile far germogliare la pianta della democrazia e del rispetto dei diritti civili.
Scriverlo oggi, mentre le armate russe sciamano in Ucraina, nella peggiore riedizione dei disegni di potere sovietici e zaristi, può apparire la vana speranza di occidentali idealisti e un po’ ingenui. Corriamo il rischio, perché idealisti lo siamo di sicuro, ma ingenui no. Contiamo di essere anche gente che un po’ di Storia l’ha letta e studiata.
Nessuno si illude o pensa lontanamente che le manifestazioni di piazza delle ultime 36 ore possano scalfire il disegno egemonico e antioccidentale di Putin. Questo sarebbe insopportabilmente ingenuo e ridicolo. Il punto è capire se dietro queste folle, comunque sorprendenti – oltre i vip e gli artisti che ci stanno mettendo la faccia con coraggio sui social – possa formarsi una consapevolezza. Via via qualcosa in più, in grado di incidere sull’uomo forte del Cremlino.
Come più volte qui ricordato, Putin si è garantito il fronte interno creando una forte rete di interessi reciproci, in cui le ricchezze del Paese sono state di fatto appaltate a un numero ristrettissimo di persone e società, arricchitesi in modo impensabile. I leggendari “oligarchi” sono di fatto dei satrapi dell’era moderna, solo che non gestiscono territori per conto del sovrano ma materie prime e ricchezze sconfinate.
Gente che deve tutto a Putin ma che ha anche imparato ad amare più di ogni altra cosa le vite hollywoodiane in quell’Occidente così detestato dal capo. Parliamo di soggetti fedeli a un’idea di ricchezza slabbrata e un po’ cafona, non certo alla Madre Russia.
La Storia – ci risiamo – insegna che questo tipo di persone è pronta a tradire al primo volgere del vento. Lo sa bene anche l’autocrate di Mosca, che non a caso ne ha convocato un gruppetto al Cremlino già l’altro ieri. Un serrare le fila, un minacciare senza minacciare, tanto certe cose non è neanche necessario dirle. Basta guardarlo in faccia.
Sarà un caso (non lo è), ma Stati Uniti, Unione europea e Gran Bretagna hanno colpito con inusitata durezza proprio loro, i tanti Roman Abramovich che ci siamo abituati a vivere come parte del panorama delle nostre capitali, senza mai riuscire a provare vera simpatia nei loro confronti. Troppo ricchi, supponenti, smargiassi e sopra le righe per poterci affascinare come i cari, vecchi miliardari di casa nostra. Certo, davanti ai loro euro e dollari non abbiamo fatto gli schizzinosi, anzi, e oggi possiamo ben dire che mal ce ne incolse.
Le nostre responsabilità e le nostre acquiescenze le conosciamo bene, ma questa è l’ora in cui provare a capire se in quello sterminato Paese – da sempre in spericolato equilibrio fra l’attrazione culturale e ideale per l’Europa e mai sopiti sogni imperialisti – ci sia uno spazio per creare un’alternativa a Putin. Non sarà oggi, non sarà domani (come detto non siamo così ingenui), ma le parabole dei dittatori insegnano quanto il passo dall’apparente graniticità al disfacimento possa essere breve.
Vale la pena scoprire quanto la Russia non sia Vladimir Putin.
di Fulvio Giuliani
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Tag: russia
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