C’è un mondo in quell’abbraccio tra Marco Serra, arbitro 39enne con una manciata di partite in serie A sulle gambe, e il giocatore rossonero Ante Rebic. Un mondo dai confini non sempre netti, fatto di doveri e di diritti – il dovere di chiedere scusa, il diritto di sbagliare – dove uno ha subìto un torto, l’altro lo ha inflitto.
Eppure, a fine gara, i due li vedi stretti in un abbraccio, con le mani che cingono il viso, asciugano lacrime e parole che ricordano a tutti “che può capitare, si può sbagliare!”. Un’immagine che fa bene al mondo del calcio, abbruttito da pagine vergognose (l’ultima, lo schiaffo di Bonucci al dirigente interista).
Anche l’Aia, l’associazione degli arbitri, ha subito porto le sue scuse al Milan per l’errore macroscopico di Serra (che torna ora a occuparsi di serie B). La storia del calcio è piena zeppa di errori arbitrali, eppure è la prima volta che l’Aia si scusa per una svista arbitrale, per giunta con tanta celerità. Scuse che, a parti invertite, sarebbero arrivate anche allo Spezia o c’entra che in mezzo ci fosse un club blasonato come il Milan?
Polemiche a parte, per una volta vale la pena concentrarsi non tanto su ciò che non ha fatto l’arbitro – ovvero convalidare il gol – ma su quanto fatto: ammettere subito l’errore e poi chiedere scusa, espressione di rispetto nei confronti di pubblico e giocatori. Perché nessuno è infallibile. Sono anche queste le ‘azioni’ del calcio che meritano di essere commentate perché è in queste che si racchiude l’ansia di perfezione dell’essere umano.
di Ilaria Cuzzolin
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