Ormai in Ucraina è un massacro ed è proprio per questo che Putin non può più tornare indietro. La sua unica possibilità è essere ancora più spietato. Ormai in Russia è un massacro, ma anche per i soldati russi. L’esercito ucraino ha contato circa 12mila caduti tra gli invasori nei primi 14 giorni di guerra.
Sarebbe una media di 857 morti al giorno: il 40% in più dei 517 morti al giorno che l’Italia soffrì durante la Prima guerra mondiale. Va detto che il Pentagono ha ridimensionato questa stima, dimezzandola: 6mila caduti, con una media quotidiana di 428,5. In tal caso si scenderebbe un po’ rispetto ai tempi della battaglia sul Carso, con gli assalti alla baionetta contro le mitragliatrici.
Occorre però ricordare che la Russia ha attaccato con meno di 200mila uomini, mentre il Regio Esercito ne schierava un milione e mezzo. E non bisogna neanche dimenticare che in Afghanistan – dove rimase dal 24 dicembre 1979 al 15 febbraio 1989 – l’Armata rossa contava su un contingente al massimo di 115mila effettivi e che ebbe in tutto 14.453 caduti e 264 dispersi.
Non volete credere alle cifre di Ucraina e Usa? Bene. Lo scorso 2 marzo la Russia ha ammesso ‘appena’ 498 caduti. Se fosse vero e se le perdite si mantenessero su questo ritmo, in appena sette mesi si arriverebbe al numero di caduti dell’intera campagna in Afghanistan, durata nove anni, un mese, tre settimane e un giorno! D’altronde gli stessi cittadini russi iniziano a non fidarsi più ciecamente delle rassicurazioni del proprio governo.
Un video postato da “Radio Free Europe” mostra madri russe di poliziotti che il governatore di Kemerovo in Siberia aveva mandato al fronte, dicendo che si trattava solo di esercitazioni. «Ci avete ingannati, state mandando i nostri figli in Ucraina come carne da cannone» hanno gridato disperate.
A morire in questi giorni non sono soltanto i soldati russi e i combattenti ucraini. Lo scorso 8 marzo il governo di Kiev stimava la morte di almeno 2mila civili uccisi mentre l’Onu ne confermava 516. Sempre il governo ucraino stima in 100 miliardi di dollari il valore di infrastrutture, edifici e beni che sono stati già distrutti dall’esercito invasore. È il metodo già applicato a Grozny o Aleppo.
D’altronde è ormai completamente fallita l’idea di ripetere il blitz riuscito in Crimea, quando l’esercito ucraino – smantellato da Yakunovych su mandato dello stesso Putin – non riuscì a opporre una resistenza significativa. Viene il dubbio che i comandi russi avessero creduto alla loro stessa propaganda, immaginando russofoni e altri ucraini ad accoglierli con fiori e applausi per l’avvenuta liberazione dal governo nazista di Kiev. La ferocia dei bombardamenti su città russofone come Kharkiv, Mariupol od Odessa appare quasi una punizione per chi non si è voluto prestare a questo schema.
In questa guerra appare decisivo anche un evidente errore di calcolo da parte di Putin: reduce dalla recente ritirata da Kabul, un Occidente indebolito e diviso non avrebbe mai avuto la voglia (tantomeno la forza) di reagire all’invasione dell’Ucraina, se non con qualche dura dichiarazione di circostanza. È successo esattamente il contrario.
Non sarà certo questo a decidere le sorti della guerra, ma anche la notizia che persino Al Bano abbia deciso di non andare più a cantare in Russia conferma come ormai Putin si sia giocato tutto quanto il capitale di credibilità politica e di simpatia che per decenni aveva coltivato in Occidente.
Quanto al consenso in Russia, gli effetti delle sanzioni economiche stanno nutrendo il dissenso e la paura crescente di molti, per nulla nostalgici dei tempi dell’Unione Sovietica. Se viene sconfitto, Putin rischia il posto e forse anche la pelle. Non può più tornare indietro. Per questo ha soltanto una scelta: continuare il massacro, prima che qualcuno riesca a fermarlo.
Di Maurizio Stefanini
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