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monte dei paschi di Siena

Mentire Prorogare Scappare

Ancora incerto il futuro del Monte dei Paschi di Siena. Ancora una volta le trattative di acquisizione da parte di Unicredit vengono rimandate.
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Scade oggi, ma le scadenze sanno di scaduto in un Paese in cui rinviare non è una pratica umiliante ma una conquista della codardia. Quando qui lo prevedemmo non desideravamo altro che essere smentiti, invece capita: il sovrapporsi delle elezioni suppletive, con in ballo il seggio parlamentare di Siena, induce a un altrimenti inutile allungamento del negoziato relativo al futuro del Monte dei Paschi di Siena.

Oggi scade il termine ultimo fissato dall’azionista e governante entro il quale il potenziale acquirente, Unicredit, avrebbe avuto l’esclusiva nell’esercitare la sua opzione. Ma era fissato sulle sabbie mobili di una politica politicante che paga volentieri il prezzo dell’irrilevanza, pur di non doversi assumere alcuna responsabilità. Sicché slitta. Di una mesata. Tanto per scavallare le elezioni. Scena miserrima.

Dicono che ci vuole più tempo per esaminare i conti, ma sono bubbole. Offensive dell’intelligenza di chi ascolta e della professionalità di chi ha fin qui negoziato, da entrambe le parti. Se un problema del genere avesse avuto fondamento reale non si sarebbe manifestato a poche ore dalla scadenza. Quel che si vuole rinviare è la diffusione dei contorni della possibile acquisizione, perché una cosa è chiara e sicura: i partiti che chiedono che Mps rimanga quel che era con la sua identità, i suoi dipendenti, le sue sedi, la sua centralità senese – ovvero praticamente tutti – hanno mentito sapendo di mentire, son demagoghi tristemente consapevoli di star raccontando fandonie: quella roba lì è fallita.

Ed è proprio questo il punto più significativo: non sono capaci di proporre ricette diverse, si trincerano dietro la medesima balla; non disegnano futuri diversi per la banca, si propongono di tornare al passato. Si distinguono nel darsi le colpe ma si uniscono nella colpa di non avere idee e solo tremori, nell’essere affetti da logorrea ma non trovare le parole per raccontare la realtà ai cittadini.

Il potenziale acquirente, il solo disposto a trattare Mps come se fosse una banca e non un baraccone spolpato e da sezionare, spezzettare, distribuire – ovvero Unicredit – ha già chiarito che il salvataggio per incorporazione comporta l’esclusione di quel che porterebbe nuovamente a fallire e a far perdere sicurezza ai conti della banca incorporante. Dai crediti deteriorati al personale non produttivo, passando per gli sportelli inutili. Se qualcuno li vuole (si trova sempre, questione di prezzo e pretese) li si separa dal resto, altrimenti si chiudono. La voce sindacalpolitichese vuole la tutela del marchio, del personale e della funzione senese?

Bravi: trovino i soldi e ce li mettano. Grazie al cielo la Commissione europea impedirà di prenderli ancora dalla Sor&Sor (i contribuenti sora Cesira e sor Augusto), ergo vanno trovati nel mercato. Vogliono un suggerimento? Taluni fondi possono essere interessati, ma quel che farebbero a Siena fa sembrare il programma Unicredit una mite cura dimagrante. Gli altri sono un combinato disposto di avvoltoi e sciacalli. I quali, sia chiaro, svolgono un ruolo utile, deglutendo e smaltendo quel che può essere infetto.

A questo sono ridotti i partitanti: privi del coraggio della verità, sprovvisti di strumenti per affrontare la realtà, impegnati a contendersi un seggio a suon di frottole, chiedono d’avere il tempo di completare quest’operazioncina minuscola, rinviando il resto e, in questo modo, chiarendo come sia stato possibile far crescere un simile tumore bancario: incapacità, viltà, piccola convenienza, collateralità. Quello fu un feudo della sinistra (che qui candida il proprio leader, ma senza il simbolo), che si resse troppo a lungo, anche grazie a favori resi ad altri, ma proprio questo rende enorme il guasto del corale arroccarsi nel desiderio di tornare al passato. Dicono: banca dei territori. Leggete: lottizzazione degli enti locali con i soldi dei contribuenti. E no, quella roba non s’ha da fare.

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