Il provvedimento approvato sulle concessioni balneari è una conquista: quella del metodo fatto di visione e coraggio di dire verità per lo sviluppo del Paese. Anche se scomode.
Questione di metodo, più che di feeling. La vicenda delle concessioni balneari, che abbiamo seguito negli ultimi mesi e affrontato ieri – anticipando la conclusione del confronto politico – ha mostrato un buon modo di risolvere un problema a lungo evitato come la peste. Al massimo, usato in campagna elettorale e piazzato in riva al mare, senza alcuna reale volontà di affrontarlo.
Il provvedimento approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri è più che soddisfacente, quasi un miracolo considerate le premesse a cui accennavamo. Si procederà con le gare pubbliche in tempi non biblici – 2024 – e si terrà conto degli investimenti sostenuti dagli attuali gestori, ma valutandoli con attenzione.
È passato il sacrosanto principio secondo il quale non basterà aver speso trent’anni fa per acquisire un diritto intangibile e imperituro. Conviene ripetere come tutto questo sia stato votato all’unanimità, chiedendo dunque un prezzo politico a partiti che avevano alzato anche di recente le barricate. Va riconosciuta la capacità del presidente del Consiglio di porre un freno agli eterni tira e molla, ma anche la presa di coscienza di forze politiche che solo l’altro ieri si mostravano inamovibili.
È sul metodo che vogliamo soffermarci, oltre la questione contingente delle spiagge, capitolo rilevante ma non strategico degli anni a venire. La domanda è se questo metodo – secondo il quale si discute, si litiga, ma alla fine a un risultato si deve arrivare pur pagando dei prezzi – sarà applicabile in ben altri passaggi che si profilano all’orizzonte dei governi (non solo questo).
Si pensi alla questione energetica, tornata drammaticamente d’attualità a causa della crisi russo-ucraina: mettere mano a un piano a lungo termine significa prendere decisioni che influenzeranno direttamente la vita delle persone. Per far ciò, sarà necessario dire dei No e operare scelte elettoralmente sanguinose. Si pensi – torniamo su un punto che diventerà presto bollente – all’elettrificazione dell’auto. Per non perdere il treno del futuro e le decine di migliaia di posti di lavoro che gradualmente sostituiranno quelli inevitabilmente cancellati dalla conversione delle automobili tradizionali in elettriche e ibride, dovremo prendere oggi le decisioni strategiche. Per adattare settori produttivi in cui abbiamo capacità uniche al mondo, ci vorranno visione e il coraggio di dire verità scomode a intere filiere. Si pensi che per molto tempo abbiamo rimandato il problema (ci risiamo), salvo spaventarci quando Volkswagen ha annunciato investimenti nell’elettrificazione per 89 miliardi di euro in 5 anni. Cinque, non cinquanta.
Reggerà il ‘metodo’, quando si tratterà di affrontare temi di questa rilevanza? Se qualcuno dovesse pensare che stiamo parlando di Mario Draghi, sbaglierebbe di grosso. Comunque vada, fra un anno l’esperienza di questo governo terminerà. L’auspicio è che in questi 12 mesi si prendano quante più decisioni nel solco di quella arrivata per le concessioni balneari, ma comunque toccherà poi alla classe politica dirci quale siano le diverse idee di futuro e di sviluppo del Paese.
Progetti e visioni antitetici sono la ricchezza della democrazia, purché si abbia la forza di riconoscere che nessuna idea di futuro e sviluppo può essere a costo zero. Politico ed economico. Una responsabilità che non riguarderà solo i partiti ma un’intera classe dirigente.
La falsa sicurezza delle battaglie di retroguardia attira tutti: Confindustria, sindacati, rappresentanti di categoria. La differenza la farà chi saprà rinunciare ai like di oggi, magari trovando i voti domani.
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Tag: politica
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