Non ci sono più. I Cinque Stelle, che avrebbero dovuto rivoluzionare la politica, l’Italia, l’Europa e subito dopo il mondo, si sono liquefatti nell’urna. A cinque anni e qualche mese dalla tornata di amministrative che segnò il loro primo trionfo e anticipò quello delle politiche 2018.
È solo un lustro, come ricordo nel fondo scritto questa mattina per La Ragione e non c’è più nulla di quel partito-movimento. Sembrano passati 50 anni dalla sera in cui Beppe Grillo si affacciò alla finestra di un albergo prendendo per il sedere i partiti tradizionali, distrutti nelle urne di Roma e Torino. Brandiva una gruccia per abiti, per giocare sul nome di neo sindaco di Torino Appennino, mentre a Roma Virginia Raggi prometteva mirabilia e soprattutto il No alle Olimpiadi. L’emblema di ogni male per motivi che ancora oggi restano del tutto misteriosi e ben occultati nella psiche di un movimento mai cresciuto.
Oggi, di Grillo si sono perse le tracce e il suo silenzio ha un che di pavido, perché i leader non fuggono di notte nel momento della sconfitta. Raggi schiuma rabbia contro i suoi stessi compagni di partito e – incredibile a sentirsi – invoca come suo ultimo “successo“ la candidatura di Roma all’Expo. Roba da non crederci, per gli stessi che ci hanno privato della fortissima possibilità di ospitare i Giochi olimpici.
È solo un esempio, fra i tanti, sullo stato confusionale. In cui è precipitato un partito verso cui hanno guardato con superficialità e bramosia di potere giornalisti, presunti opinion maker, potentini ed ex potenti di turno. Un caravanserraglio che ora si disperde nella ricerca dell’unica cosa che questa varia umanità sa fare: cercarsi un padrone.
di Fulvio Giuliani
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