Nuove armi in arrivo alla resistenza ucraina
Al vertice Nato di ieri a Bruxelles, il presidente ucraino Zelensky non ha chiesto la “no fly zone” all’Alleanza Atlantica, ma nuove armi per aiutare la resistenza ucraina. L’asse Nato-Ue oggi passa da Parigi e Roma e non più da Berlino.

Nuove armi in arrivo alla resistenza ucraina
Al vertice Nato di ieri a Bruxelles, il presidente ucraino Zelensky non ha chiesto la “no fly zone” all’Alleanza Atlantica, ma nuove armi per aiutare la resistenza ucraina. L’asse Nato-Ue oggi passa da Parigi e Roma e non più da Berlino.
Nuove armi in arrivo alla resistenza ucraina
Al vertice Nato di ieri a Bruxelles, il presidente ucraino Zelensky non ha chiesto la “no fly zone” all’Alleanza Atlantica, ma nuove armi per aiutare la resistenza ucraina. L’asse Nato-Ue oggi passa da Parigi e Roma e non più da Berlino.
Il presidente ucraino Zelensky non ha chiesto la no fly zone all’Alleanza Atlantica. Per cogliere sino in fondo la portata del vertice Nato di ieri a Bruxelles bisogna cominciare da qui, da una rivelazione fatta ai giornalisti da un funzionario della Casa Bianca che ha spiegato la posizione del presidente ucraino a chi al vertice non c’era.
Zelensky non ha neppure chiesto l’adesione alla Nato bensì ha avanzato una richiesta più concreta e necessaria: aiutatemi a difendere il mio popolo. La discussione dei Paesi Nato è quindi andata sulle armi da fornire agli ucraini contro gli attacchi dei russi e su un tema terribilmente politico e quasi shakespeariano: combattere gli aggressori senza entrare direttamente in conflitto. La soluzione trovata a questa necessità strategica e contingente è stata quella spiegata in poche parole dal presidente americano Joe Biden e dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: l’Alleanza Atlantica si impegna a identificare ulteriori apparecchiature – inclusi i sistemi di difesa aerea – per aiutare l’Ucraina, fornendo anche armi anti-carro, difese anti-missili, droni (che si sono dimostrati molto efficaci) e incrementando gli aiuti finanziari e umanitari.
A margine del vertice Nato, in una giornata densa di incontri anche bilaterali tra i leader dei Paesi dell’Alleanza, non sono mancate le tensioni sul maggiore coinvolgimento della Nato nella guerra, essendo tutti consapevoli della gravità del momento e delle conseguenze che un impegno più consistente potrebbe comportare. Il fatto è che ieri i canali diplomatici sul fronte russo parevano chiusi al punto che Mosca avrebbe rifiutato le chiamate dal Pentagono. Un non dialogo che ha fatto crescere l’attenzione su un ruolo di mediazione possibile della Turchia, Paese membro della Nato, che ha venduto droni a Kiev ma che sostiene di avere ancora un canale diplomatico aperto con la Russia.
Dire quanto ci si possa fidare di Erdoğan, in un risiko come quello che l’Occidente e il mondo stanno vivendo in queste settimane, è cosa complicata. Quasi enigmatica. Di certo però la diplomazia, per sua stessa natura, ha il dovere di provarci. E questo spiega il tourbillon di bilaterali che ieri, a margine del vertice, si sono consumati con il presidente turco incontrato dal francese Emmanuel Macron (in questi mesi alla guida del Consiglio dell’Unione europea) e dal nostro presidente del Consiglio. Interessanti a questo proposito le parole pronunciate dallo stesso Draghi, che ha sottolineato come l’incontro con Erdoğan sia «andato bene» e come questo polo inedito – «Turchia, Francia e Italia» – si ritroverà presto a funzionare di nuovo, con un «incontro dei tre Paesi». Dal punto di vista della politica europea e internazionale, nel pieno dramma della guerra, si tratta di una novità di non poco conto: l’asse Nato-Ue oggi passa da Parigi e Roma e non più da Berlino. Con quali risultati – ci auguriamo positivi nel trovare una via per la pace o per una tregua – lo scopriremo presto.
di Massimiliano Lenzi
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