Proprio non avremmo voluto trovarci in questa situazione. Ma visto che un criminale l’ha creata, dobbiamo affrontarla. Sconfiggere il disegno di Putin è il primo passo ma – assieme ai dolori e ai costi che questo comporta – c’è anche un’occasione da cogliere. Partendo da tre sfide.
- L’attacco russo non è all’Ucraina, ma all’ordine globale. La reazione univoca dell’Occidente e l’invocazione dei neutrali a entrare nella Nato sono dovute alla portata della posta in gioco. Non c’è una e una sola ragione da parte russa, a meno che non si voglia considerare un diritto disporre di un impero e spaccare nuovamente in due il mondo. Accettare la rottura armata di quell’ordine non serve a riconquistare la pace ma a garantirsi guerre continue, riconsacrando la prima metà di questo secolo alle carneficine della prima metà di quello passato.
- Il tema della difesa è delicato. Il cammino verso la difesa integrata europea è avviato. Putin lo ha accelerato. Ma la difesa europea necessita di alcuni capisaldi e abbisogna di non perdere l’ancoraggio Nato. Non ci serve un’Unione europea polo militare capace di giocare una partita autonoma fra le altre potenze militari: ci serve una difesa autosufficiente che sia parte della Nato. Le due cose devono camminare assieme. Non sempre si hanno gli stessi interessi, sulle due sponde dell’Oceano Atlantico – se è per questo, neanche all’interno della famiglia europea – ma quando si parla dell’ordine internazionale abbiamo uno e un solo interesse, da cui dipendono la sicurezza e la prosperità.
- Ciò ci porta al terzo punto, relativo alla guida politica e alla sua stabilità. Le nostre sono democrazie, che intendono restare tali. Nelle democrazie non esistono politiche secolari (neanche nelle dittature, che quando coltivano queste illusioni poi si sbriciolano nell’orrore e nel disprezzo) ma una continua ricerca del consenso attorno alle politiche che si considerano più adeguate. La contabilità di quel consenso ha una scadenza periodica, nelle elezioni. Quel che non possiamo permetterci è che ogni anno, se non ogni mese, sia consacrato alle elezioni. E siccome siamo 27 democrazie, ciascuna con regole e scadenze diverse, è facile che accada. Si guardi la comprensibile attesa per il risultato elettorale francese. Ma non è possibile che, ogni volta, un elettorato nazionale sia ritenuto decisivo per una sorte continentale. Né sarebbe ragionevole distinguere il valore e il peso di quegli appuntamenti, talché il voto del Paese x sarebbe rilevante, mentre quello in casa y invece no.
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