Ora provate a dirci che questo è un falso
La donna portata via in barella dopo il bombardamento dell’ospedale di Mariupol, è morta insieme al bambino che portava in grembo. Sarebbe bello se queste immagini, come alcuni dicono, fossero fake news. Invece è la realtà e tutti noi dobbiamo farci i conti.
Ora provate a dirci che questo è un falso
La donna portata via in barella dopo il bombardamento dell’ospedale di Mariupol, è morta insieme al bambino che portava in grembo. Sarebbe bello se queste immagini, come alcuni dicono, fossero fake news. Invece è la realtà e tutti noi dobbiamo farci i conti.
Ora provate a dirci che questo è un falso
La donna portata via in barella dopo il bombardamento dell’ospedale di Mariupol, è morta insieme al bambino che portava in grembo. Sarebbe bello se queste immagini, come alcuni dicono, fossero fake news. Invece è la realtà e tutti noi dobbiamo farci i conti.
La donna portata via in barella dopo il bombardamento dell’ospedale di Mariupol, è morta insieme al bambino che portava in grembo. Sarebbe bello se queste immagini, come alcuni dicono, fossero fake news. Invece è la realtà e tutti noi dobbiamo farci i conti.
E ora diteci che non è vero. Voi che vedete ovunque complotti, che mettete in discussione la veridicità delle immagini che arrivano dall’Ucraina. Diteci che era vuoto, l’ospedale di Mariupol bombardato dai russi. Diteci che la donna fotografata mentre veniva portata fuori in barella, il pancione insanguinato, non è morta e con lei il suo bambino. Una vita stroncata ancora prima di venire al mondo, un’altra spenta nel fiore degli anni per un assurdo e folle conflitto che sta squarciando un Paese.
Sarebbe bello, se fossero fake news. Invece è la realtà e tutti noi dobbiamo farci i conti. Per primi quelli che ancora nei giorni scorsi incredibilmente sostenevano che fosse tutto falso. «Uccidetemi adesso» aveva gridato quella donna quando era stata portata fuori dall’ospedale. Perché sapeva, aveva capito che il suo bambino non c’era più. Perché per una madre non c’è nulla di più atroce di sapere che il cuore del figlio che porta in grembo ha smesso di battere. Vittime fra le vittime, lei e il suo bimbo sono gli ennesimi innocenti sacrificati ai deliri di conquista del presidente russo.
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Così come straziante è il video realizzato da alcuni bambini di Kiev. Volti che scorrono, insieme alle immagini di una città distrutta. Piccoli che semplicemente dicono il loro nome e raccontano di essere ucraini. Poche frasi, ma sufficienti perché a volte le parole non servono. Così come per quegli scatti dei vigili del fuoco che in braccio portano fuori donne anziane da un condominio bombardato. O quelle dei volontari della Croce Rossa che trasferiscono sulle ambulanze bimbi portati via dagli orfanotrofi. Piccoli senza nessuno, che le braccia dei volontari sorreggono come se fossero figli loro.
Umanità e orrore si mescolano, nelle giornate di questo conflitto che ci ha riportati indietro a pagine della Storia che nessuno di noi avrebbe mai voluto rivivere. E poi ci sono i gesti simbolici, come quello di alcuni attivisti che a Biarritz hanno fatto irruzione nella villa di proprietà della figlia di Putin e ora invitano i profughi ucraini a rifugiarsi lì. Intanto continua l’assurda propaganda russa, col Cremlino che arriva a dichiarare che «l’operazione in Ucraina era pianificata per evitare vittime civili». Come se ciò che vediamo ogni giorno non dimostri esattamente il contrario. Come se sia possibile mettere a tacere le voci di chi ogni giorno rischia la vita per raccontare. Il reporter americano Brent Renaud la sua l’ha persa. A lui e a quella donna che non diventerà mai madre, così come a ciascuna vittima, dobbiamo il nostro rispetto. E la condanna, unanime e senza tentennamenti, di questo scempio.
di Annalisa Grandi
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