Quella di ieri è stata una giornata terribile per il governo italiano e il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Una giornata, però, fondamentale per ribadire e fissare un concetto vitale: l’Italia è schierata sul fronte dei suoi alleati senza se e senza ma, sia per quanto concerne gli impegni militari nel quadro Nato, sia sul delicatissimo fronte delle sanzioni da imporre alla Russia di Vladimir Putin.
Draghi è arrivato ad alzare metaforicamente la voce in patria e all’estero, dopo ore di rumors, insinuazioni e fraintendimenti su quali fossero le reali volontà di Roma. Prima le voci sul No che sarebbe stato opposto (anche dalla Germania) alla decisione europea di preparare l’esclusione di Mosca dallo Swift, il sistema internazionale per i pagamenti e i crediti bancari, poi “l’incidente“ della telefonata con il presidente ucraino Zelensky, interrotta a causa dei combattimenti e seguita da un tweet angosciante e sarcastico dello stesso Zelenski verso Draghi.
Un’incomprensione, all’evidenza, che però agli occhi della Russia doveva apparire un meraviglioso esempio della spaccatura nel fronte occidentale. A corollario, i timori sempre più forti per le ricadute economiche interne.
Alla fine, Draghi ha chiarito due concetti molto semplici: “so perfettamente che le sanzioni ci costeranno moltissimo in termini economici, a cominciare dal rebus dell’approvvigionamento energetico.
Epperò non c’è il minimo dubbio e tentennamento sullo schierarsi con i partner europei e gli Stati Uniti (Swift compreso). Siamo pronti a mettere a disposizione 3400 militari per il piano di deterrenza dell’Alleanza atlantica“.
Una chiarezza necessaria, diremmo di più: vitale, in un momento in cui non è in gioco solo il futuro dell’Ucraina, ma dell’intero assetto internazionale così come lo conosciamo dalla caduta del Muro. Non a caso, la riflessione-base di Draghi è l’amara certezza che con i bugiardi e i ricattatori (Putin) non si può trattare.
di Fulvio Giuliani
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