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Per fortuna Mario c’è

Le parole di Mario Draghi dell’altro ieri, seguite all’intervento in Parlamento del presidente ucraino Zelensky, sono parole a cui non eravamo più abituati.
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Per fortuna Mario c’è

Le parole di Mario Draghi dell’altro ieri, seguite all’intervento in Parlamento del presidente ucraino Zelensky, sono parole a cui non eravamo più abituati.
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Per fortuna Mario c’è

Le parole di Mario Draghi dell’altro ieri, seguite all’intervento in Parlamento del presidente ucraino Zelensky, sono parole a cui non eravamo più abituati.
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Le parole di Mario Draghi dell’altro ieri, seguite all’intervento in Parlamento del presidente ucraino Zelensky, sono parole a cui non eravamo più abituati.
Permetteteci un po’ di ironia e sarcasmo, ricordando la leggendaria canzoncina che accompagnò l’ultima fase splendente dell’astro politico di Silvio Berlusconi. Perché, scherzi a parte, è una fortuna reale e tangibile avere a capo del governo una personalità con le idee chiare e una caratura internazionale degna di questo nome. Con buona pace di chi non ha capito cosa stia accadendo nel mondo per colpa esclusiva di Vladimir Putin, non osiamo pensare cosa sarebbe successo al Paese se fossimo in mano ai signori che con il dittatore avevano intessuto entusiastiche “relazioni speciali“. Con buona pace ancora e sempre di quelli che credono che la politica si faccia solo in termini di vantaggi economici e commerciali, disposti a scambiare le forniture di gas russo con la libertà e la democrazia. Con buona pace di quelli del “è solo un banchiere, chiamato da Mattarella a gestire l’emergenza“, l’ex presidente della Banca centrale europea si sta muovendo da politico vero, a cui domani dovrà essere riconosciuto il merito di una scelta non scontata, in ore drammatiche: aver fissato l’Italia alla politica occidentale e atlantica, garantendole non solo un ombrello protettivo, ma un ruolo nella nascente consapevolezza politica, strategica e militare dell’Unione Europea. Lo ha fatto con quelli che secondo gli amici di ieri di Putin sarebbero toni “troppo belligeranti“, reazione che farebbe scoppiare a ridere se non fosse tragica in giorni in cui la guerra ce l’abbiamo sulla soglia di casa e per scelta del loro idolo (rimpianto?) di ieri. La verità è che le parole di Draghi dell’altro ieri, seguite all’intervento in Parlamento del presidente ucraino Zelensky, sono parole a cui non eravamo più abituati: troppo nette, troppo chiare e definite per la politica degli azzeccagarbugli e degli equilibrismi pelosi. Altro che “troppo belligerante”, una presa di coscienza della realtà e della sfida portata ai nostri principi, degna di un politico vero. Con buona pace – più che mai – di leghisti e grillini intenti in queste ore a parlare solo delle spese militari troppo elevate richieste da Draghi, pur di far finta di non capire (oppure non capendo sul serio, cosa che non ci sorprenderebbe troppo dovendo ascoltare alcuni di loro) cosa ci sia in ballo. Così, dopo tanta antipolitica, la politica si riprende il suo ruolo strategico e lo fa con un non-politico più politico di tutti loro. di Fulvio Giuliani

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