La rabbia isterica e le minacce di Putin all’Italia sono la conseguenza di anni di servilismo allo zar della politica italiana. Ora a Mosca voltiamo giustamente le spalle ma non si era illusa da sola. Li avevano illusi alcuni di noi.
Possiamo meravigliarci che Putin abbia ordinato di minacciare in modo specifico l’Italia?
No, perché – oltre l’ovvia considerazione che con la Germania l’Italia è il Paese più dipendente dal gas di Mosca – noi siamo stati soprattutto il Paese che ha più di qualunque altro pubblicamente e acriticamente accarezzato, blandito ed esaltato lo zar.
Per anni, forze politiche importantissime non hanno solo favorito un interscambio commerciale di cui non c’è motivo di vergognarsi e che ha numerosi eguali in giro per il mondo (altra discorso l’errore storico di esserci legati a una dipendenza energetica che pareva folle ben prima che Il dittatore mostrasse fino in fondo il suo volto), ma hanno indicato nella Russia di Putin un modello. Un sistema migliore rispetto a quello delle stanche – secondo loro, sia chiaro – democrazie occidentali.
Non c’era mica solo Salvini con le sue magliette, l’intero fronte politico trionfatore alle ultime elezioni guardava alle dittature senza riconoscerle e capirle. Lo dicevamo allora, prendendoci insulti.
Provate a mettervi per un istante, allora, nei panni del Cremlino putiniano dopo anni di accondiscendenza, dichiarazioni pubbliche sfociate in servilismo verbale: ma come, proprio noi ci schieriamo ‘senza se e senza ma’ con le sanzioni più dure e ci mostriamo gli alleati più alleati di Washington e della Nato?! In più, c’era il populismo e ora c’è Draghi.
La rabbia isterica è una conseguenza, ma anche il subdolo tentativo di galvanizzare le volenterose quinte colonne. Quel magma populista e cattocomunista che ha visto in Putin un modello e che non è mica sparito. Quante volte lo abbiamo scritto, neppure una brutale guerra d’aggressione riesce a scalfire l’ignoranza storica, la faciloneria, il cinismo di tanti. Li vedete e leggete quelli della ‘colpa è della Nato’, ‘eh, ma il Donbass’, ‘Zelensky si arrenda, è lui il colpevole delle stragi di civili’, etc.
Sono quelli che esaltarono russi e cubani ai tempi del lockdown, dimenticando gli aiuti europei, anzi accusando l’Ue di indifferenza. Sarà un caso (ma non lo è), oggi il Cremlino nelle sue minacce ci rinfaccia pure quegli aiuti con una cafoneria che la dice lunga sui soggetti che circondano il dittatore. Le parole che arrivano da Mosca sono in realtà la più clamorosa e severa loro squalifica, ma anche un terribile giudizio politico sugli anni in cui si sono poste le condizioni per tradire l’intera nostra storia del dopoguerra.
Abbiamo sempre saputo guardare con attenzione e rare doti di equilibrismo all’Africa, al Medioriente e alla stessa Russia sovietica, ma senza mai mettere in dubbio i valori della democrazia e la nostra collocazione geopolitica.
A Mosca si erano illusi, ma non da soli. Li avevano illusi alcuni di noi.
di Fulvio Giuliani
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