Una data fondamentale per la storia italiana: il 4 novembre è il momento in cui si compì l’Unità non solo dal punto di vista territoriale, ma soprattutto morale.
Si dirà: gli italiani non conoscono la propria storia, sono fondamentalmente distratti, figuriamoci quanta attenzione possano riservare anno dopo anno al 4 novembre, il giorno della vittoria contro l’impero austroungarico nella lontanissima Prima guerra mondiale. Vero, ma non sempre. Negli anni del centenario del ‘15-‘18, la partecipazione agli eventi sul devastante conflitto spesso sorprese gli stessi organizzatori, dimostrando che l’opinione pubblica – se stimolata e coinvolta – sa riconoscere il valore della memoria e del sacrificio dei propri progenitori. Anche in Italia, anche in piena era digitale.
Il 4 novembre resta una data fondante della nostra storia, il momento in cui si compì l’Unità non solo dal punto di vista territoriale, ma soprattutto morale. Quelle genti che entrarono in trincea senza capirsi, chiuse nei propri dialetti, ne uscirono comprendendo apparentemente poco di più di concittadini estranei quasi quanto il nemico di fronte. Nei fatti, erano ormai pronti a un’idea di patria e nazione. Prova ne furono, tre anni più tardi, le folle oceaniche che in tutto il Paese fecero ala al passaggio del treno con le spoglie del milite ignoto diretto a Roma, di cui abbiamo scritto ieri. Di lì a pochi anni, come ragioniamo poco sotto, le leggende nere della vittoria tradita o mutilata avrebbero dato il via a fenomeni incontrollabili, ma il 4 novembre del 1918 l’Italia seppe portare a termine un percorso di cui andare orgogliosi ancora oggi. Per capire chi fummo e chi siamo.
Non è vuota retorica, ma per decenni abbiamo prestato un’attenzione spasmodica alla rotta di Caporetto dell’ottobre del ‘17, senza dedicare nulla di neanche lontanamente paragonabile alla resistenza sul Piave e sul Grappa (che lasciò di stucco i nostri stessi alleati che ci avevano dato per ‘persi’). Così facendo abbiamo contribuito a costruire quell’idea di tragica faciloneria e approssimazione che ha marchiato il nostro Paese, innanzitutto agli occhi dei suoi stessi cittadini. Certo, un’altra data fornì robusti appoggi a quest’idea di un’Italia cialtrona e irrecuperabile, l’8 settembre ‘43, ma la ‘battaglia d’arresto’ del novembre ‘17, del ‘solstizio’ del giugno ‘18 e lo sfondamento di Vittorio Veneto dell’ottobre ‘18 sono tre momenti che non hanno solo una valenza militare. Seppero ‘creare’ una nazione mille volte di più che la roboante ed effimera retorica del ‘maggio radioso’ quando entrammo in guerra nel ‘15 o dei disumani ordini d’attacco frontali in massa del generalissimo Cadorna.
I ragazzi del ‘99, diciottenni spediti in tutta fretta al fronte per tappare le falle del disastro di Caporetto, furono realmente meravigliosi. Minorenni dell’epoca, quando maggiorenni si diventava a 21 anni, capaci di reggere l’urto austroungarico dell’estate del 1918 e contribuire alla vittoria decisiva. Splendida storia, anche questa raccontata in modo parzialmente errato: pochi entrarono in linea sul Piave già pochi giorni dopo Caporetto. Quell’incredibile resistenza fu un trionfo difensivo firmato da molti di quei reparti che si erano sciolti come neve al sole pochi giorni prima. Uno dei misteri insondabili del nostro Paese (fino a un certo punto, ma non è questa la sede per approfondire), sempre sospeso fra eroismo, farsa e tragedia.
Quasi nessuno, poi, sa che gli italiani continuarono a combattere e morire per un’altra settimana, fino all’11 novembre. Erano i nostri reparti schierati sul fronte occidentale, a fianco di francesi, inglesi e americani. Così come i contingenti alleati combatterono con noi nelle pianure del Veneto. Purtroppo, non abbiamo avuto un Ernest Hemingway a rendere immortali sofferenze, sacrifici e pensieri di quei ragazzi dimenticati e di cui andare orgogliosi ancora oggi.
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Tag: Italia
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