l’Unione europea e gli Stati Ue devono proseguire nell’unità che hanno mostrato sinora nella speranza di risolvere la crisi Ucraina.
Dopo giorni e giorni trascorsi ad alzare la posta in gioco sulla questione ucraina, Vladimir Putin ha riconosciuto il Donbass, di fatto l’indipendenza (vista dai russi) dell’Ucraina orientale. La situazione è in continua evoluzione. Ragioniamo. Guerra e pace sono due parole inconciliabili nel loro significato. Oggi che le tensioni tra la Russia e l’Occidente – per la minaccia di Mosca d’invadere l’Ucraina – riportano drammaticamente d’attualità il tema d’un conflitto in Europa, queste due parole meritano una riflessione che parte da una domanda: che fine han fatto i pacifisti in Occidente? Bandiere arcobaleno non se ne sono viste, idem per le manifestazioni imponenti o per i cori di critiche al rischio di una guerra. La ragione è semplice: i pacifisti, e la Storia lo dimostra, sono prontissimi a scendere in piazza quando possono dare la colpa all’Occidente. È stato così ai tempi del Vietnam negli Usa e in Europa. È stato così, in tempi più recenti, per la guerra nella ex Jugoslavia o per la decisione di George W. Bush, dopo l’attentato terroristico alle Torri Gemelle, di invadere l’Afghanistan prima e l’Iraq poi (per far cadere Saddam Hussein) ma oggi – anche con tutta la fantasia pacifista del mondo – accusare l’Occidente di voler la guerra in Ucraina è impossibile. Per cui l’arcobaleno sfuma ma con lui non sfuma quel senso di colpa perenne che il mondo libero si vede sventolare sotto il proprio naso. Intendiamoci, la libertà tra i suoi pregi ha quello di poter criticare chi comanda e decide. Purché – aggiungiamo noi – questa libertà non diventi soltanto un riflesso pavloviano, pronta a ripetere il solito ritornello sulla cattiveria occidentale. Perciò mentre viviamo ore drammatiche appesi a notizie mutevoli sulla situazione in Ucraina, sarebbe opportuno che Usa ed Europa evitino un altro riflesso pavloviano, stavolta non solo di popolo ma anche di élite, ovvero dividersi a vanvera. Se c’è una deterrenza che ha funzionato in questi giorni, con l’Ucraina sempre in bilico rispetto a un’invasione russa, è stata la compattezza del fronte occidentale. Cominciare, a dramma in corso, a rinfacciarsi scelte o leadership non solo non avrebbe alcun senso ma sarebbe opera di puro tafazzismo, come quel personaggio comico che si dava le bottigliate sugli attributi. Tempo per il “segue dibattito” ce ne sarà quando la crisi sarà risolta, adesso no. Perciò non hanno senso le discussioni, se guardiamo agli Stati Uniti, tra chi sostiene che con Donald Trump alla Casa Bianca al posto di Joe Biden non si sarebbe mai arrivati a questo punto della crisi e chi invece argomenta l’esatto contrario e dà la colpa della situazione attuale a Trump. La guerra e la pace non sono temi da talk show e tantomeno da à rebours nella storia. Lasciate perdere. Se poi attraversiamo l’Atlantico e dagli Stati Uniti arriviamo in Europa, ebbene anche qui non v’è ragione per dividersi. Quando diciamo dividersi intendiamo che l’Unione europea e gli Stati Ue – a cominciare da Francia, Germania e Italia – devono proseguire nell’unità che hanno mostrato sinora. Senza farsi distrarre da risultati contingenti, magari tenendo conto delle necessità nazionali che possono essere il gas russo per l’Italia, interessi compositi per la Germania o il sogno d’una ritrovata grandeur per la Francia. Se c’è una speranza di risolvere la crisi in Ucraina, evitando l’invasione russa, questa è appesa all’unità dell’Occidente. Un’unità non scontata – al punto che il presidente russo Putin non se l’aspettava – ma proprio per questo indispensabile. Un’unità di posizioni che, oltre a riguardare gli Stati Uniti e l’Europa al loro interno, riguarda anche Stati Uniti ed Europa messe assieme. Perché ogni divisione fra una sponda dell’Atlantico e l’altra significherebbe non una maggiore possibilità di mantenere la pace ma semmai l’esatto contrario. A chi nutrisse ancora dubbi ricordiamo una frase dello scrittore russo Lev Tolstoj (perché la letteratura, a volte, può essere un bel contrappasso alla Storia): «Un bravo giocatore che perde a scacchi è sinceramente convinto che la sua sconfitta sia dovuta a un proprio errore e ricerca quest’errore all’inizio del proprio gioco; ma dimentica che a ogni nuova mossa, a mano a mano che si svolgeva la partita, sono stati commessi altri errori del genere; che nessuna delle sue mosse è stata perfetta. L’errore sul quale concentra la sua attenzione gli appare evidente solo perché l’avversario se n’è valso». Se sai prima quale sarebbe l’errore però, hai una scelta logica da compiere: non commetterlo. di Massimiliano Lenzi
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